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A Dio, non a sé, attribuire il bene di cui ci si riconosce capaci. RB 4,42

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Dominus Tecum

Lettera di S.Paolo ai Filippesi XXII

Omelie al Capitolo della comunità per la Quaresima - 25/04/2009

filippesi 2,8

"umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce."

Arriviamo al fondo della parabola discendente: precedentemente aveva detto: “svuotò se stesso assumendo la condizione di servo” qui aggiunge “umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte”. Innanzitutto notiamo in queste due espressioni la libertà e la volontarietà di Cristo: non fu svuotato o fu umiliato, ma svuotò e umiliò se stesso. Questa volontarietà sottolinea la Sua relazione al Padre e il Suo amore per gli uomini che rende suoi fratelli prima accentando di condividere la loro natura, poi versando il Suo sangue per redimerli.
Paolo altre volte sottolinea la grandezza dell'obbedienza di Cristo che è la nostra salvezza, addirittura che ci rende “obbedienti” superando così il primo peccato che ci ha resi estranei a Dio e quindi rendendoci di nuovo e ancor più “figli”.
Ma è nella lettera agli ebrei e nel suo commento al salmo 39 che troviamo degli accenti forti: sia per sottolineare il nostro essere i suoi fratelli e figli con Lui del Padre: “volendo portare molti figli alla gloria rendesse perfetto mediante la sofferenza il capo che guida alla salvezza” (2,10), e poi col salmo 39 (greco) “un corpo mi hai preparato... “Ecco io vengo per fare, o Dio, la tua volontà” “ed è per quella volontà che noi siamo stati santificati, per mezzo dell'offerta del corpo di Gesù, fatta una volta per sempre” (Eb 10,10).
Ritroviamo due elementi che sono presente nel nostro testo: “il corpo” con tutto il mistero dell'incarnazione e l'obbedienza fino alla morte che santifica coloro che con l'incarnazione ha reso suoi fratelli. L'umiliazione è, infatti, anzitutto la condizione umana che conduce alla morte: Lui l'immortale.
E quella umiltà che Maria canta nel Magnificat: per Dio guardare la creatura, fosse anche la più innocente e pura è sempre guardare qualcosa di molto basso, povero. E il Verbo di Dio facendosi carne ha assunto quello stato. Ora lo stato d'uomo ha come colmo dell'umiliazione la morte, il salmo 48 è tutto una meditazione sapienziale su questo fatto: “scenderanno a precipizio nel sepolcro, svanirà ogni loro parvenza”, ma tutto questo salmo sarebbe da citare in questo contesto.
In un'epoca in cui l'apparenza e in particolare quella fisica, conta tanto, questo salmo va meditato profondamente. Gesù ha scelto questa condizione: la morte non è solo l'ultimo respiro, ma è tutta la degradazione fisica dovuta all'età, alla fatica, alla malattia, alla sofferenza, ecc. Prima aveva detto “divenendo simile agli uomini”, ora dice: divenendo ascoltatore-obbediente. In questa parola c'è questo senso d'ascolto, sia in greco che in latino, ed è la prima parola della nostra Regola. E' in relazione di ascolto e di comunione col Padre che Gesù si è umiliato. Non è né una una sua avventura di figlio che scappa di casa, né lo schiacciamento di un figlio costretto.