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Che cosa vi è di più dolce per noi, fratelli carissimi, di questa voce del Signore che ci invita? Ecco, il Signore, nella sua bontà, ci mostra il cammino della vita. RB, Prol 19-20

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Dominus Tecum

Lettera di S.Paolo ai Filippesi XXX

Omelie al Capitolo della comunità per la Quaresima - 13/05/2009

Filippesi 2,12

Quindi, miei cari, obbedendo come sempre, non solo come quando ero presente, ma molto più ora che sono lontano, attendete alla vostra salvezza con timore e tremore.

Concluso l’inno, Paolo riprende il suo discorso. L’Inno era per mostrare in Gesù quei sentimenti di carità e umiltà necessari in una comunità: è talmente forte che si vede che non è semplicemente una esortazione a essere un po’ umili, ma il cristiano è tale se vive l’amore e l’unità con quella forza che è mostrata nell’inno.
L’inno però ha aperto anche a un altro valore: quello dell’obbedienza che ora Paolo riprende.
Paolo la mette come conseguenza dell’inno: “perciò,... così,... quindi…” e non dice che devono obbedire ma che hanno sempre obbedito. Paolo parla a una comunità che ha vissuto l’obbedienza della fede e che gli è sempre stata legata – dice: miei carissimi - agapetoi mou.
Come nell’inno l’obbedienza di Gesù non è specificata (fattosi obbediente) senza dire a chi o in che cosa, così anche qui. Può essere l’obbedienza della fede, l’obbedienza ecclesiale, l’obbedienza al suo messaggio, ma non importa. Quello che conta è un atteggiamento di docilità, in cui la parola “ascolto” è presente.
Questo può servire per leggere l’inizio del prologo di RB: “Ascolta, figlio, ...”.
Quell’ascolto è una docilità a priori, un rifiuto di ergersi a giudice o di vivere a modo proprio, è essere in relazione con Dio, la Chiesa, i pastori.
I Filippesi l’hanno mostrato quando Paolo era presente, ora Paolo li esorta a continuare con lo stesso atteggiamento nella sua assenza.
La fede non è un breve e facile entusiasmo, tanto meno una esaltazione per una persona carismatica, per un grande predicatore, per una bella liturgia, una assemblea di giovani o per il Papa stesso.
La fede è tale soprattutto nella durata e nell’assenza di tutte quelle cose, nel piatto quotidiano della vita, nelle avversità, nella durata.
Paolo esorta i suoi carissimi a durare in quella fede che si era accesa quando lui predicava in mezzo a loro, ma molto più ora che lui è assente e non li infiamma con la sua parola e il suo affetto.
Con timore e tremore accudite alla vostra salvezza.
Questa coppia di parole è frequente nella Bibbia e in genere si riferisce allo stare alla presenza di Dio.
Le troviamo anche in RB un po’ cambiate: per il cantore, Benedetto dice che deve cantare con umiltà, “gravitas” e tremore, mentre il timore di Dio è spesso presente nella regola.
Non credo però che la differenza delle parole dia un senso differente. Davanti a Dio non c'è d'aver paura o di tremare: queste varie parole vogliono tutte dire la profondità e l’importanza, la serietà e la coscienza che devono caratterizzare il nostro stare davanti a Dio, sia nel culto come dice la RB e come molto spesso parla la Sacra Scrittura, sia nel lavorare e applicarsi alla propria salvezza come qui.
Il nostro rapporto con Dio, che l’inno ha mostrato tanto vicino a noi, da una parte ha quella libertà dei figli che Gesù ci ha ottenuto, dall’altra ha sempre il senso dell’infinita distanza che conduce all’adorazione.