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A Dio, non a sé, attribuire il bene di cui ci si riconosce capaci. RB 4,42

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Dominus Tecum

Lettera di S.Paolo ai Filippesi XXXI

Omelie al Capitolo della comunità per la Quaresima - 14/05/2009

Filippesi 2,13.

"È Dio infatti che suscita in voi il volere e l’operare secondo i suoi benevoli disegni."

Dopo il versetto 12 in cui Paolo chiede di vivere nella fedeltà dell’obbedienza al Vangelo e a ciò che lui aveva insegnato e di impegnarsi nel lavoro della salvezza con timore e tremore, l'Apostolo continua riequilibrando secondo la sua teologia e dicendo: è Dio che suscita in voi il volere e l’operare. Questo da una parte ci dice che senza la grazia non possiamo attendere alla nostra salvezza e dall’altra che il timore e il tremore non devono paralizzarci perché Dio lavora con noi.
Non dobbiamo trovare contraddizione fra i due versetti quasi che il dono di Dio si contrapponesse al nostro impegno; anzi, proprio perché Dio ci dà la libertà del volere e dell’agire (libertà da un istinto che ci condizionerebbe in modo totale e che non permetterebbe la capacità di scegliere), noi possiamo volere, desiderare, scegliere e agire secondo le nostre scelte.
E’ certo che l’equilibrio fra la grazia di Dio e la nostra libera volontà e possibilità di agire non è una scienza esatta misurabile e prevedibile.
Se da una parte l’immensità dell’impegno ad attendere alla nostra salvezza ci spaventa, perché siamo ben coscienti della nostra fragilità e dell’infinita purezza di Dio, dall’altra il fatto che in questo non siamo soli, ma il Signore stimola e libera la nostra volontà al desiderare il bene e dà la capacità di compierlo ci dona il coraggio di metterci all’opera.
Paolo ci ricorda che da soli non possiamo fare nulla come dice Gesù, se non essere paralizzati dal timore e tremore, ma che il Signore, fattosi umile e obbediente per noi e che per noi ha ricevuto il Nome al di sopra di ogni altro nome, Nome che vuole condividere con noi, ci è vicino e opera con noi dando vita e orientamento alla nostra volontà.
Solo così noi possiamo rispondere con amore al suo amore e vedere quel timore e tremore, che l’uomo ha naturalmente davanti a Dio e che lo tenta di nascondersi, in un timore di adorazione e affetto rispettoso e in un tremore di commozione che si apre alla parrhesia 8libertà e franchezza fiduciosa nell'esprimersi).
I due versetti, dunque, presi in modo separato rischiano di farci cadere o nel pelagianesimo o in forme calviniste estreme, mentre hanno una pienezza molto bella e consolante che ci apre al senso della sinergia.
Questa è infatti la grande condiscendenza di Dio che ci vuole associati alla sua opera, non chiamandoci però servi, ma amici.
Quindi da Dio non dipende l’oggetto del volere e del fare (bene o male), perché saremmo degli automi senza responsabilità e senza capacità di amare, ma il fatto stesso di essere liberi di volere e di agire e quindi di amare e rispondere al suo amore con delle libere scelte.
E’ questo il grande dono che il Signore ci fa e che ci rende capaci di amare lui e il nostro prossimo.
Perché poi questo dono sia volto da noi verso un buon fine, dobbiamo pregare poiché abbiamo bisogno dei sette doni dello Spirito per comprendere qual è il bene che ci fa rispondere alla nostra vocazione umana di figli di Dio salvati dall’umiltà, obbedienza e carità di Cristo, Verbo di Dio.