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Che cosa vi è di più dolce per noi, fratelli carissimi, di questa voce del Signore che ci invita? Ecco, il Signore, nella sua bontà, ci mostra il cammino della vita. RB, Prol 19-20

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Lettera di S.Paolo ai Filippesi XXXIV

Omelie al Capitolo della comunità per la Quaresima - 21/05/2009

Filippesi 2,16.

"tenendo alta la parola di vita. Allora nel giorno di Cristo, io potrò vantarmi di non aver corso invano né invano faticato."

Il Versetto 16 è bello e commovente e lo troviamo in modo speciale in questo clima di affetto e di confidenza che domina nella lettera ai filippesi.
“Tenendo alta la parola di vita”: portandola, offrendola, mostrandola e testimoniandola.
L’attaccamento del cristiano alla Parola è qualcosa di centrale nella sua vita e questo diventa una luce che si diffonde, anche se non si proclama sui tetti ad alta voce. Qui Paolo si lascia andare ad una espressione di sentimento personale.
Se i filippesi sono illuminati e illuminano con la Parola che egli ha loro annunciato, Parola di vita – che dà vita e che è la loro vita - lui può gloriarsene, non nel senso che i filippesi sono opera sua e che la fede l’ha data lui, ma in un senso più affettivo: è orgoglioso per loro, per la loro fedeltà, il loro zelo, la loro risposta al Vangelo, la loro condotta.
Ogni pastore desidera essere orgoglioso del suo gregge, non per vantarsi, ma perché l’amore con cui l’ha nutrito lo fa vivere e il gregge ha acquistato una sua bellezza. Paolo usa questa espressione anche coi corinzi e coi tessalonicesi. Anche Gesù si presenta al Padre nella preghiera sacerdotale senza aver perso “nessuno di quelli che mi hai dato”.
Qui però Paolo non parla solo in modo esortativo per richiamare la Chiesa a una risposta più autentica: parla quasi dicendo che questo vanto per i filippesi è già in atto, perché loro rispondono.
Certo bisogna aspettare il giorno del Signore Gesù Cristo in cui si vedrà ciò che sarà stato fede autentica e non facile entusiasmo, ma Paolo trova già la sua consolazione nella chiesa di Filippi ed è consolato perché la sua corsa e la sua fatica non sono state vane: nella Chiesa non trova il vuoto di chi si gonfia a parole, ma luce vera che illumina.
Paolo qui sottolinea un aspetto importante della relazione tra l’Apostolo e la Chiesa: egli dà tutto se stesso per l’evangelizzazione, per costruire una comunità che porti il volto di Cristo mite, umile e amore, del Cristo che è venuto a gettare il fuoco sulla terra. Guardando la Chiesa di Filippi può rallegrarsi profondamente perché vede che essa ha risposto con generosità, entusiasmo e serietà al seme che lui ha gettato e che vive della Parola che lui ha lanciato in quella terra.
In RB, specialmente nel Prologo, la corsa è orientata verso la vita eterna e non è invano che si corre.
Paolo dunque può rallegrarsi perché la sua fatica ha portato frutto e può guardare la sua cara comunità con l’orgoglio non di chi si vanta – che sarebbe cosa vuota - ma quell’orgoglio dell’amore che vede la qualità e la bellezza della vita e della fede dei discepoli.
Un buon pastore non può che rallegrarsi della fede della sua comunità, dello splendore che testimonia, di una vita all’ascolto della Parola, di una relazione personale con Gesù, di una docilità allo Spirito, di una chiara realizzazione della comunione fraterna che lo stesso Spirito viene a costruire in mezzo agli uomini.
Paolo dunque comparirà davanti al Signore pieno non dei suoi meriti, ma della bellezza della Chiesa di Filippi.