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Dominus Tecum

Lettera di S.Paolo ai Filippesi XXXV

Omelie al Capitolo della comunità per la Quaresima - 25/05/2009

Filippesi 2,17-18.

"E anche se il mio sangue deve essere versato in libagione sul sacrificio e sull’offerta della vostra fede, sono contento, e ne godo con tutti voi. Allo stesso modo anche voi godetene e rallegratevi con me."

I due versetti che seguono non sono chiarissimi né semplici e anche i Padri, in gran parte, hanno evitato di commentarli.
Troviamo però due chiavi che mi sembrano importanti: la prima è che la vita del cristiano è una liturgia.
Paolo aveva davanti agli occhi la liturgia del tempio: con il sangue versato sull’altare, le offerte, i sacrifici. Anche se con la lettera agli Ebrei sappiamo che queste cose sono state portate a compimento dalla Pasqua di Cristo, tuttavia non sono cose prive di senso o inutili e la vita cristiana rivive tutto anche se con segni nuovi.
Paolo unisce il suo rischio di essere condannato a morte, il suo sangue versato, alla vita della comunità di Filippi. La fede della Chiesa, vissuta non solamente in un contesto direttamente liturgico, è sempre una liturgia.
Possiamo qui vedere la nostra vita che la fede e la carità orientano verso il Cristo, la ricerca della presenza del Signore, l’umiltà con cui cerchiamo di offrirci più che immolarci, la preghiera che ci consegna con tutta la nostra vita nelle mani del Padre. Tutto questo e tutto il resto è sacrificio e offerta della nostra fede, in particolare di quella fede comunitaria che fa di noi una piccola chiesa su cui continua a essere versato in libagioni il sangue di Cristo e, anche se non uscito da un atto violento ma dal fervore della carità, quello dei nostri Padri che di generazione in generazione, con la fedeltà e la santità ci hanno trasmesso la fede, l’amore per la Parola di vita, le tradizioni cristiane e monastiche.
Il loro “sangue”, cioè la loro vita, continua a essere versato nel nostro vivere la nostra vita di conversione e di dono.
La seconda chiave di lettura è un riflessione sulla gioia.
Questo sangue di Paolo, che potrebbe essere versato sulla offerta della chiesa di Filippi, è sorgente di gioia, di “con-gioia” come dice: gioia per lui che dà se stesso con gioia e Dio ama chi dà con gioia, ma gioia anche della comunità che se anche per breve tempo può soffrire della morte e dell’assenza di Paolo, in verità è vivificata da questo sangue che si unisce a quello di Cristo e dall’idea che tutti siamo chiamati al termine di questo breve tempo, a essere uno in Cristo nella gioia e nella gloria del Padre.
Paolo parla, e sappiamo che lo fa spesso, della propria gioia, che sgorga dalla fede e dalla sua profonda amicizia con Gesù, tanto da fargli desiderare di essere sciolto da questa vita per essere con lui, ma desidera ardentemente che questa gioia sia condivisa.
Non è questione di essere contento perché ho buon carattere o le cose vanno come desidero, la gioia a cui Paolo ci invita è ben altro: è radicata nella fede nella Risurrezione di Cristo che fa sì che tutto è ormai nella sue mani e che lui conduce tutto e che lui risorto è presente a tutto. Ormai la vita dei battezzati non è più qualcosa di privato, ma tutto è vita della Chiesa, corpo di Cristo che conduce la creazione alla pienezza della gloria.
La gioia non dipende dagli avvenimenti, ma dall’essere radicati in Cristo, dal non aver nulla di più caro che Cristo, dal correre col cuore dilatato sulla via dei suoi comandamenti.