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A Dio, non a sé, attribuire il bene di cui ci si riconosce capaci. RB 4,42

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Dominus Tecum

Lettera di S.Paolo ai Filippesi XLII

Omelie al Capitolo della comunità per la Quaresima - 13/07/2009

Filippesi 3,12-14

"Non però che io abbia già conquistato il premio o sia ormai arrivato alla perfezione; solo mi sforzo di correre per conquistarlo, perché anch'io sono stato conquistato da Gesù Cristo. Fratelli, io non ritengo ancora di esservi giunto, questo soltanto so: dimentico del passato e proteso verso il futuro, corro verso la mèta per arrivare al premio che Dio ci chiama a ricevere lassù, in Cristo Gesù."

Conoscere la potenza della Risurrezione, essere in comunione con la sofferenza di Cristo diventandogli simili, per giungere alla risurrezione non secondo un progetto umano ma nella fede: “in qualche modo” che lui non conosce, ma che spera nella fede in Cristo Risorto.
Queste erano le tre parole con cui ho concluso l’altra volta, ormai vari giorni fa.
Paolo continua, dopo aver chiarito il suo “programma” con queste tre parole, dicendo bene che lui non è già arrivato, non è ancora perfetto.
Possiamo avere chiaro in testa qual’è il nostro fine e cosa davvero desideriamo, possiamo conoscere e amare la Regola, credere che è una buona via, non possiamo mai dire che ormai possediamo la Parola di Dio, che siamo dei perfetti osservanti della Regola.
La grandezza dell’uomo consiste in questo slancio in avanti pieno d’amore, di desiderio, di zelo, di buona volontà, ma anche tutto immerso nell’umiltà di chi conosce se stesso e ciò che manca al vero amore, alla vera comunione con le sofferenze di Cristo, all’essergli simile per dirsi giunto alla creatura nuova, risorta con Cristo.
Paolo gioca con le varie coniugazioni dello stesso verbo: “già conquistato il premio ... correre per conquistarlo, perché anch'io sono stato conquistato” e non sono perfetto, non credetemi tale. A volte l’amore, l’affetto per l’apostolo possono portare ad una ammirazione che non fa vedere giuste le cose. Nonostante tutto ciò che mi è già capitato e l’unione alle sofferenze di Cristo, non posso dirmi né arrivato né perfetto; non ho ancora afferrato il premio della mia corsa, però ce la metto tutta per afferrare, ma questo, ne è ben cosciente, è perché lui stesso è stato afferrato, preso, conquistato da Cristo Gesù.
Ancora una volta ci troviamo davanti all’iniziativa divina.
E’ come un gioco: Paolo scappava da Gesù e lo perseguitava. Ma Gesù l’ha raggiunto, l’ha toccato, afferrato e ora è lui che corre dietro a Gesù per afferrarlo.
E Paolo sottolinea solennemente: Fratelli, non dico di aver già afferrato Gesù, in questa gara non sono ancora vincitore, ma sono teso, proteso con tutto lo slancio possibile, corro dietro a lui perché voglio ricevere il premio, che Paolo descrive in modo misterioso “la celeste chiamata”, che vuol dire coerenza con la vocazione che ha e il premio nei cieli che spera.
Quello che conta, dice Paolo è di non stare a contemplare il proprio passato, né il peccato né le virtù. Il passato è solo oggetto di profonda riconoscenza per la misericordia di Dio, ma se ci appesantiamo nel rimorso per il peccato o nel compiacimento per ciò che di buono abbiamo fatto la nostra corsa si ferma.
Quello che ho vissuto è vissuto: o lo getto nelle braccia della Misericordia e non sto a tormentarmi, o, se sono cose buone, non sto a compiacermene.
Gesù è davanti e corro, mi affretto per abbracciarlo.
Gesù corre verso suo Padre.
La sua passione è impregnata di questa fretta; se non lo vogliamo perdere non possiamo attardarci a guardare indietro o a cogliere fiorellini per strada.
Lui e solo lui.