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Tutti gli ospiti che giungono al monastero siano accolti come Cristo poiché un giorno il Nostro Signore ci dirà: Ero forestiero e mi avete ospitato. A tutti si renda il dovuto onore RB 53,1

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Cistercense
Dominus Tecum

Lettera di S.Paolo ai Filippesi XLVI

Omelie al Capitolo della comunità per la Quaresima - 23/07/2009

Filippesi 4,1

"Perciò, fratelli miei carissimi e tanto desiderati, mia gioia e mia corona, rimanete saldi nel Signore così come avete imparato, carissimi!"

Entriamo nel capitolo conclusivo, che ha delle note interessanti e che ci possono far riflettere, anche se in parte parlano di personaggi poco conosciuti.
Il primo versetto del capitolo quarto nelle bibbie attuali è messo come conclusione del capitolo precedente, ma penso che il suo posto è nella conclusione.
Certo i filippesi sono la Chiesa che lui ama e nella quale trova il riposo del suo cuore. E' qualcosa che traspare in tutta la lettera.
Qui due volte li chiama carissimi, diletti, “agapetoi”, parola carica di tenerezza.
Parla anche di loro come fratelli desiderati, cosa che aumenta il senso di affetto e mostra un legame stretto. Paolo non ha paura di dire i suoi sentimenti e neanche di sbilanciarsi nel mostrare un affetto speciale per una Chiesa in confronto alle altre. I Filippesi gli sono stati sempre vicini con discrezione, ma anche in pratica aiutandolo concretamente. Hanno mostrato di essere non solo ascoltatori della Parola, ma anche riconoscenti per quello che Paolo ha loro dato.
Per cui desidera rivederli, stare con loro, anche se essendo in prigione non può troppo sperarlo.
Ma oltre a diletti e desiderati, Paolo aggiunge: mia gioia e mia corona.
Certo la gioia del Pastore viene quando vede che la sua fatica porta frutto, le sue esortazioni sono messe in pratica, la linea di fede e di condotta che ha tracciato è seguita.
La gioia può risiedere anche nella semplice amicizia, per cui pensare agli amici e aver loro notizie e segni di presenza e d’affetto dona molta gioia, specie in situazione d’esilio e prigionia; ma Paolo aggiunge: mia corona, qualcosa che mostra che è vincitore, che trionfa dopo una battaglia o una gara.
I cristiani hanno una corona quando, specie col martirio, mostrano d’aver vinto la battaglia della fede e della fedeltà, ma possono anche dirsi coronati quando la loro fatica e la loro umile perseveranza nell’annuncio e nella pratica del Vangelo mostrano dei risultati. La Chiesa di Filippi dava, con la sua vita, gloria alla fatica apostolica di Paolo.
Ma proprio per questo Paolo non può esimersi dall’esortare alla perseveranza.
Paolo aveva detto di imitare Cristo, come lui lo imitava, aveva messo il dito su alcune piaghe di deviazione, ma soprattutto aveva fatto prendere coscienza di un destino di gloria. Non basta però essere incamminati su una buona strada; Gesù stesso ha detto che la vittoria viene con la costanza e la perseveranza.
S. Bernardo dice: “di giorno in giorno fino all’ultimo giorno”. Facciamo dunque attenzione a non addormentarci credendo che il più è fatto e che ora possediamo la buona dottrina teologica, monastica, morale e un buon comportamento. Il diavolo va in giro per farci cadere e da monaco apparentemente perfetto si fa presto a decadere in un essere che infetta tutta la comunità. La perseveranza invece ci dà la speranza di poter passare dall’attuale mediocrità che ci affligge a una vita più “salata e luminosa”, secondo il Vangelo di oggi (cfr Mt 5,13-14).