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Lettera di S.Paolo ai Filippesi XLVIII

Omelie al Capitolo della comunità per la Quaresima - 27/07/2009

Filippesi 4,4-5

"Rallegratevi nel Signore, sempre; ve lo ripeto ancora, rallegratevi. La vostra affabilità sia nota a tutti gli uomini. Il Signore è vicino!"

Χαίρετε: questa parola che può essere un semplice saluto, qui è portatrice di un grande significato; così come il saluto dell’Angelo a Maria apre la nuova e definitiva era dell’umanità sulla terra, “gli ultimi tempi”, anche questo invito ha un significato molto profondo, tanto che Paolo lo ripete due volte (“ve lo dico di nuovo”). Già all’inizio del capitolo 3 ha invitato i filippesi a rallegrarsi, ma qui l’accento è più forte e il significato più profondo.
La Chiesa latina ha preso questo versetto come introito per celebrare la terza domenica d’Avvento che apre o annncioa come ormai prossima la settimana della novena di Natale: la domenica in “Gaudete”, infatti nel versetto seguente Paolo dice: Il Signore è vicino.
Cos’è questa gioia così caratteristica della vita cristiana?
Non è certo un invito ad una vita godereccia, un epicureismo di bassa lega, o qualcosa che troverebbe il suo eco in una certa poesia rinascimentale tipo Lorenzo il Magnifico. Non è un invito a godersi la vita, ma ad accogliere il dono del Signore.
Paolo ha appena parlato di pace e armonia e di lavoro (che sappiamo faticoso) per far andare d’accordo due donne, ma che potrebbero essere due possibili partiti nella Chiesa. Se si è in preda alle rivalità, invidie, gelosie, ecc. non si può essere nella gioia vera.
Questa nasce solo dalla pace, dall’umiltà, dalla carità.
Infatti Paolo sottolinea che bisogna rallegrarsi nel Signore : cosa che ci fa comprendere che la gioia viene dal dono del Signore e dal fatto che si mette il Signore al centro della propria vita.
Ci sono due parole a cui è bene fare attenzione: “sempre” e “il Signore è vicino”.
La lotta per la pace in comunità, il distacco da sé e dal proprio mondo capriccioso, l’attesa del Signore e la fede nella sua presenza sono l’ambiente in cui sgorga la gioia cristiana; questa si manifesta in un atteggiamento che è Paolo esprime con il termine “affabilità”, ma che porta in sé il senso della clemenza e del saper temperare la giustizia con la bontà, l’umiltà di saper cedere.
E questo diventa testimonianza davanti a tutti gli uomini.
Questa gioia chiesta da Paolo è dunque tutt’altra cosa dalla felicità o faciloneria, dalla spensieratezza o dall’egoistico profitto dei propri beni e vantaggi. E’ frutto invece di un lungo processo di conversione.
Convertirsi alla gioia, essere lieti nel Signore, richiede un continuo cammino evangelico, che non può partire che dalle lacrime sul proprio peccato, cioè dalla presa di coscienza che dobbiamo convertirci sul serio e che dal restare fermi a guardare costantemente il proprio ombelico dobbiamo alzare lo sguardo per vedere il “Signore vicino”.
Paolo ripetendo due volte e inserendo l’invito in un contesto di conversione comunitaria e di testimonianza davanti agli uomini, dà tutto il peso cristiano alla letizia profonda del cuore, che nei versetti seguenti mostrerà il suo frutto.
Solo i poveri possono essere davvero cristianamente gioiosi.