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A Dio, non a sé, attribuire il bene di cui ci si riconosce capaci. RB 4,42

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Dominus Tecum

Lettera di S.Paolo ai Filippesi L

Omelie al Capitolo della comunità per la Quaresima - 03/08/2009

Filippesi 4,8-9

"In conclusione, fratelli, tutto quello che è vero, nobile, giusto, puro, amabile, onorato, quello che è virtù e merita lode, tutto questo sia oggetto dei vostri pensieri. Ciò che avete imparato, ricevuto, ascoltato e veduto in me, è quello che dovete fare. E il Dio della pace sarà con voi!"

I due versetti che seguono cominciano con: “del resto”, quasi a dire che i filippesi sanno come devono comportarsi e che Paolo l’ha già detto. Però poi fa seguire due imperativi forti: “così pensate, così fate”, al seguito di una serie di virtù morali, non specialmente cristiane, ma dell’uomo retto. Ciò che di buono pensavano anche i pagani.
Sul piano morale infatti ci si sente accomunati a tutti gli “uomini di buona volontà”. La fede è qualcosa che caratterizza i cristiani, l’onestà nel comportamento fa si che i cristiani si sentano e sappiano uniti a tutte le persone rette.
Il cristiano non è per forza moralmente migliore delle persone rette pagane, fa la stessa fatica di tutti per comportarsi bene, ma in questo sforzo rende un culto di sacrificio e di lode a Dio unito a Gesù Cristo e consacrato dallo Spirito per la redenzione dell’umanità intera.
Questo è il compito sacerdotale del cristiano che non deve voler essere migliore, ma che tutti si salvino.
“Pensate” non è un far scorrere i pensieri e meditare, ma avere una mentalità che apprezza e cerca le virtù umane: quanto c’è di nobile, di giusto, di puro, di amabile, di stimabile, di virtuoso, quanto merita lode. Questo è ciò che il cristiano totalmente umano deve cercare di vivere. Non si è mai dispensati dall’essere pienamente umani e la Grazia ci aiuta, stimola e perfeziona in umanità, perché solo l’uomo può essere divinizzato, Dio essendosi fatto perfetto uomo.
Il secondo imperativo è: fate, operate, mettete in pratica e Paolo qui ritorna sul suo esempio. E’ interessante vedere come Paolo mette quattro verbi che si completano e formano un percorso.
L’agire dipende da ciò che si è imparato: si è prima discepoli; se non si è alla scuola di qualcuno (il capofila, il Maestro è Cristo, non Paolo che ne è solo il primo discepolo, ma che è anche esempio per gli altri che vengono dopo di lui), non si avanza.
Nella vita monastica essere discepoli è capitale, non solo nel noviziato, ma sempre, nell’umiltà della verità di chi sa che la vita spirituale è un dono, non un’impresa originale. Se devo cercare ciò che è lodevole (nel versetto precedente) questo non significa affatto che devo cercare la lode di chi si fa vedere. L’8° gradino dell’umiltà lo dice bene. Una volta che ci si pone in atteggiamento di discepoli, si può ricevere una tradizione, ciò che è dato lo si accoglie e questo è seguito da due verbi quasi paralleli: avete ascoltato, avete visto.
Così si passa la fede, il Vangelo e anche la vita monastica: questi quattro verbi (diventare discepoli, ricevere la tradizione, ascoltare, vedere) sono molto importanti nella nostra vita. C’è la parte teorica, l’insegnamento, e quella pratica vissuta, l’ideale e il cammino faticoso attraverso le povertà nostre e dei fratelli, ma in tutto c’è lo zelo nel voler seguire il più totalmente e sempre più Gesù condotti dal Vangelo.
Paolo conclude con un nuovo augurio di Pace che è dono che precede e premio che segue l’agire umano.