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Che cosa vi è di più dolce per noi, fratelli carissimi, di questa voce del Signore che ci invita? Ecco, il Signore, nella sua bontà, ci mostra il cammino della vita. RB, Prol 19-20

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Lettera di S.Paolo ai Filippesi LII

Omelie al Capitolo della comunità per la Quaresima - 07/08/2009

Filippesi 4,11-12

Non dico questo per bisogno, poiché ho imparato a bastare a me stesso in ogni occasione; ho imparato ad essere povero e ho imparato ad essere ricco; sono iniziato a tutto, in ogni maniera: alla sazietà e alla fame, all'abbondanza e all'indigenza.

Dopo aver parlato dell’affetto dimostrato dai filippesi e della gioia che Paolo ne riceve, Paolo affronta un argomento delicato: i doni materiali. Certo come ogni persona umana Paolo ha bisogno di avere una disponibilità economica che gli permetta di vivere, muoversi e annunciare gratuitamente il Vangelo e i filippesi fin dal principio ci hanno pensato e hanno provveduto.
Paolo ne è riconoscente, ma ci tiene a sottolineare che il suo rapporto con le varie Chiese e, in particolare quella a cui scrive non dipende dai doni materiali, dal suo bisogno di sussistenza. Se riceve con gratitudine non vuole diventare dipendente dai doni.
Non parla per bisogno: la gioia per il segno di affetto dei filippesi è indipendente dall’aspetto materiale. Qui Paolo, quasi con un po’ di sano orgoglio, che però sarà temperato dalla conclusione, parla della sua libertà, della sua indipendenza di fronte ai doni.
Talvolta per vivere ha lavorato, specie in Chiese che avrebbero potuto rinfacciargli di essere vissuto a spese loro.
Le Chiese, anche se in città ricche, erano in genere costituite da poveri, perché ai poveri va il primo annuncio: “Ai poveri è annunciata la Buona Novella” ha mandato a dire Gesù a Giovanni in carcere. E solo i poveri possono davvero accogliere una parola che si fonda sulla mitezza, l’umiltà, la pace, il dono delle proprie cose e di se stessi, la carità fraterna, la totale dipendenza da Dio.
Non è dunque la povertà che spinge Paolo a parlare dell’aiuto economico che riceve dai filippesi.
Paolo parla d’”autarchia”, virtù altamente considerata dagli stoici; ma certo dobbiamo vederla nella luce della carità fraterna.
Dire “non ho bisogno di nessuno” è un pessimo atto di orgoglio. Siamo legati gli uni agli altri e nessuno può pretendere di non aver bisogno degli altri.
Paolo infatti qui specifica: sono libero dalle cose, non dalle persone. Ha bisogno della gioia dell’affetto dei suoi amici, è riconoscente per i doni, ma non dipende da essi. E’ contento e gli basta la condizione in cui è, in cui viene a trovarsi. Ha imparato a essere nella povertà – ha dovuto imparare perché non era la sua condizione iniziale, doveva venire da un ambiente agiato se ha potuto studiare – ma anche a vivere nella ricchezza.
Non è solo questione di trovarsi in quelle condizioni. Bisogna “saper vivere”: vincere le tentazioni che le due condizioni provocano; il libro dei proverbi dice bene: Signore non darmi né povertà né ricchezza, ma fammi avere il cibo necessario, perché una volta sazio io non ti rinneghi e dica “Chi è il Signore?” oppure ridotto all’indigenza non rubi e profani il nome del mio Dio (Pr 30,8-9).
Non è dunque solo questione di essere in uno stato o nell’altro, ma di saper vivere quello stato in modo da lodare Dio e servire il prossimo sempre.
Saper vivere significa non lamentarsi per quello che non si ha e non approfittare di ciò che si ha, addormentandosi come se tutto fosse dovuto: saper benedire il Signore quando si manca di qualcosa e spogliarsi di ciò di cui si abbonda quando si è nell'agiatezza.