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Che cosa vi è di più dolce per noi, fratelli carissimi, di questa voce del Signore che ci invita? Ecco, il Signore, nella sua bontà, ci mostra il cammino della vita. RB, Prol 19-20

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Lettera di S.Paolo ai Filippesi LIV

Omelie al Capitolo della comunità per la Quaresima - 12/08/2009

Filippesi 4,17-18

Non è però il vostro dono che io ricerco, ma il frutto che ridonda a vostro vantaggio. Adesso ho il necessario e anche il superfluo; sono ricolmo dei vostri doni ricevuti da Epafrodìto, che sono un profumo di soave odore, un sacrificio accetto e gradito a Dio.

Paolo continua col suo esempio “bancario”, ma per far chiarezza dice: io non cerco il vostro dono ma il frutto che fa lievitare il vostro conto.
Al solito Paolo cerca di mettere l’accento sulla cosa più importante. Certo lui, prigioniero, ha bisogno di essere aiutato e non se ne vergogna, anzi in tutto dimostra la sua riconoscenza; aveva già nominato Epafrodito come latore di un grande dono: le notizie buone della comunità di Filippi. Qui lo nomina come colui che gli ha portato i doni materiali.
Questi sono generosi e abbondanti tanto che Paolo si sente nella larghezza, ma non è questo che conta.
La generosità dei filippesi non ha solo aumentato il suo peculio, ha soprattutto fatto crescere il loro conto: cioè la grazia, i meriti, ciò che piace a Dio.
Si dice che Dio non si fa battere in generosità ed è un banchiere che quando riceve dona un interesse più grande del deposito. L’amore lo si vive in perdita e Dio è amore.
Il dono a Paolo in verità è un dono a Dio: è come l’incenso che sale ed è “profumo di soave odore che piace a Dio”. Come tutti i sacrifici nel tempio, ogni gesto di culto, e qui anche il gesto della carità materiale, dell’elemosina così raccomandata in tanti passi dell’Antico e Nuovo Testamento, sono solo segni di un amore verso Dio che non si può esprimere in modo chiaro, diretto, pieno.
L’incenso è segno della preghiera, così anche questa elemosina è segno dell’amore e della fedeltà dei filippesi a Dio più ancora che a Paolo.
Questo primato di Dio è importante. Gradito a Dio.
E’ importante vedere come Paolo non tiene nulla per sé, neanche l’affetto che i filippesi dimostrano, e insegna loro a non fermarsi alla sua persona, ma a volgersi verso il Signore.
Questo gli dà l’occasione di sottolineare il fatto che se lui non può ricambiare, Dio infinitamente ricco può dare loro più di quanto loro hanno dato.
Anche qui abbiamo un insegnamento sulla gratuità: saper ricevere gratuitamente – e noi sappiamo quanto riceviamo anche anonimamente - coscienti che Dio darà con maggior generosità.
Ma questo non basta: anche la nostra vita data non solo nella preghiera, ma soprattutto nell’umiltà e nell’obbedienza vissute talvolta in maniera eroica (il martirio bianco dei Padri del deserto), sono un dono che chiede di avere una generosità cosciente, di impegnarci sul serio sapendo che “diamo”.
Questo impedisce di fare e di vivere la nostra vita superficialmente, cosa che ci porterebbe ad addormentarci e a spostare l’accento su cose non essenziali, sull’avere piuttosto che sul dare, sul possedere piuttosto che sullo spogliarci, sul realizzarci umanamente piuttosto che sul nasconderci per piacere a Dio solo, cosa che caratterizza la castità monastica e il monachesimo stesso, che nel suo stesso nome dice quest’unicità di sguardo e del cuore, che non ritorna su se stesso.