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A Dio, non a sé, attribuire il bene di cui ci si riconosce capaci. RB 4,42

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Ebrei 10,32-33 (1)

Omelie al capitolo della comunità per la Quaresima - 22/02/2012

"Richiamate alla memoria quei primi giorni: dopo aver ricevuto la luce di Cristo, avete dovuto sopportare una lotta grande e penosa, ora esposti pubblicamente a insulti e persecuzioni, ora facendovi solidali con coloro che venivano trattati in questo modo." (Eb 10,32-33)

Quest’anno per la Quaresima voglio cominciare a preparare l’anno della fede, come richiesto dal Papa e prenderò il capitolo 11 della lettera agli Ebrei come tema biblico che ci apre ad una riflessione su questo argomento.
Mi sembra però necessario cominciare dalla fine del capitolo 10, ben adatto per l’inizio della quaresima.
In Eb 10, 32 si dice “ricordate (o richiamate alla memoria) quei primi giorni nei quali, dopo essere stati illuminati (nuova CEI “dopo aver ricevuto la luce di Cristo”, ma non è questo che dice il testo greco – l’illuminazione del battesimo è Trinitaria) avete dovuto sopportare una lotta grande e penosa”.
L’autore per rinvigorire la fede dei destinatari della lettera li riconduce al perché sono stati battezzati e allo zelo dello Spirito Santo con cui hanno sopportato le prove della prima persecuzione.  Anche la RB ci conduce a ricordare sia le opere del Signore per noi e la nostra ignavia nella disobbedienza, sia il perché siamo entrati in monastero.
Non è certo questione di nostalgia o di “passeismo” oppure una colpevolizzazione come se si fosse per forza perso lo slancio iniziale. Anzi, bisogna guardare avanti e la quaresima solo in piccola parte ci conduce a vedere il nostro passato da correggere, il peccato che richiede penitenza. Essa è però volta già alla Risurrezione, ad una attesa fervente della salvezza e della vita. “Ecco lo Sposo viene nel mezzo della notte, beato l’uomo che troverà vigile”. Fin dall’inizio delle vigilie la liturgia ci richiama all’attenzione alla venuta dello Sposo – il Risorto, Sposo della Chiesa e dell’umanità sulla Croce, letto nuziale da cui nasce la vita.
Certo questa attenzione avviene anche attraverso la penitenza, di cui è aperta la porta, ma la penitenza e le lacrime necessarie per la salvezza, sono slanci in avanti. Tutto l’aspetto sia ascetico che penitenziale, nel senso del pentimento e quindi della sempre più viva coscienza del proprio peccato, è per la liberazione dalle zavorre che ci impediscono di correre dietro al profumo dello Sposo come ci inviterà il Cantico dei Cantici nella settimana pasquale. Qui però la lettera agli Ebrei non ci chiede di ricordare il peccato, cosa assolutamente secondaria, ma piuttosto di ricordare ciò che davvero è essenziale: l’illuminazione. Con questo nome i primi cristiani significavano il battesimo, l’immersione nella luce Trinitaria con cui il Padre ci ha riconosciuti come figli, il Cristo ci ha uniti a sé nella morte e risurrezione e lo Spirito Santo ci ha dato la luce divina dell’adozione a figli e della libertà di parlare con Dio dicendo Abbà.
Il Battesimo è il sacramento della fede: entrando in chiesa, sulla soglia, direttamente o attraverso genitori e padrini si chiede la fede. Dono di grazia, non quella che ci ha condotto a chiedere il battesimo, ma quella che ci illumina e rimane come sigillo indelebile.