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Tutti gli ospiti che giungono al monastero siano accolti come Cristo poiché un giorno il Nostro Signore ci dirà: Ero forestiero e mi avete ospitato. A tutti si renda il dovuto onore RB 53,1

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Cistercense
Dominus Tecum

Ebrei 10,34 (3)

Omelie al capitolo della comunità per la Quaresima - 27/02/2012

Infatti avete preso parte alle sofferenze dei carcerati e avete accettato con gioia di essere derubati delle vostre sostanze, sapendo di possedere beni migliori e duraturi. (Eb 10, 34)

Il doppio modo per seguire Gesù una volta battezzati, soffrire persecuzioni e soffrire con i perseguitati, lo ritroviamo nel versetto 34 “avete preso parte alle sofferenze dei carcerati e avete accettato con gioia di essere derubati delle vostre sostanze”.
Il fatto di com-patire prendendo su di sé la sofferenza dei fratelli è per i cristiani qualcosa di fondamentale. Come ho detto la fede ci fa riconoscere Gesù nei fratelli sofferenti. È anche il vangelo di oggi. Non è semplice beneficenza, buon cuore, solidarietà. Tutte cose buone a tal punto che fanno ottenere il premio eterno anche a chi non conosce Gesù. Ma chi è “illuminato” dalla Grazia nel battesimo in queste “opere di misericordia” trova un amore nuovo, un amore di comunione con il Verbo fatto carne e può vivere con una speranza nuova di fronte alla grande e assurda sofferenza del mondo, perfino all’incredibile e inspiegabile cattiveria dell’uomo. Siamo chiamati a mettere semi di vita nel mondo della morte: non solo ad alleviare la sofferenza. Certo anche questo è capitale. Ma c’è un di più che è la vera speranza. Sappiamo che Dio fatto carne ha distrutto la morte e il peccato.
Com-patendo non solleviamo solamente il peso dei carcerati e di tutti i sofferenti, ma portiamo loro la vita. Questo martirio per Cristo non è solo un martirio di compassione. Noi stessi “abbiamo accettato con gioia di essere derubati “(o per lo meno spogliati, ma c’è un senso di essere rapinati, quindi di soffrire violenza) delle nostre sostanze. È una frase molto ricca in cui dobbiamo sapere anche leggere la nostra ricerca di povertà, quel cammino di conversione monastica in cui siamo spogliati dalle nostre piccole o grandi ricchezze.
Il gesto di togliere la giacca o il maglione al postulante che chiede di entrare in noviziato. È un segno di questo “martirio”.
L’autore della lettera agli Ebrei dice infatti “con gioia” che non è subire, anche se non è spogliazione spontanea. Da dove viene la gioia? Dal liberarsi dal dover fare i conti o occuparsi di tante grane (e lasciarle agli altri perché di qualcosa si deve pur vivere!). Naturalmente no. Quando nel NT si trova l’espressione “con gioia” dobbiamo sempre vederci la gioia della comunione a Gesù. Non siamo stoici che cercano la pace nell’assenza delle passioni, preoccupazioni, ecc. anzi nella carità verso i perseguitati, i poveri e i sofferenti andiamo a cercarci una certa sofferenza. Guai al cristiano indifferente, rischia di sclerotizzare il proprio cuore e renderlo di pietra e non di carne. Ma lo “spogliamento” che viviamo, o rapinati dai persecutori, o volontariamente per seguire nudi il Cristo nudo è il nostro modo di prendere parte alla drammatica storia della Chiesa, sposa di Cristo, che nelle sue membra più autentiche non ha mai cessato di soffrire persecuzione.
Proprio quando ci accorgiamo che non siamo perseguitati dobbiamo con gioia spogliarci di quanto ci dà sicurezza, comodità o conforto. E in tal modo la Chiesa è una comunione fra sue membra più sofferenti e quelle che com-patiscono. Tutti seguendo Gesù nostro “capofila”.