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Dominus Tecum

Ebrei 10,37 (6)

Omelie al capitolo della comunità per la Quaresima - 03/03/2012

Ancora un poco, infatti, un poco appena,e colui che deve venire, verrà e non tarderà. (Ebrei 10,37)

La citazione di Abacuc a cui ho già accennato è un invito alla speranza, quella virtù che permette al discepolo di Gesù di tener fermo e saldo di fronte all’abbattersi di tutti i mali che vengono dalla persecuzione.
La frase è molto bella: “ancora poco, oh quanto poco!”. Dio non tarda a venire in aiuto ai suoi, non li lascia soli, abbandonati, persi.
Colui che deve venire verrà e non tarderà. Questa frase è molto importante per la nostra preghiera e per la nostra condotta di vita, soprattutto quando siamo tentati in maniera più o meno forte.
Per colui che cerca Dio e vuole piacergli è una frase di incoraggiamento: l’aiuto del Signore, che invochiamo incessantemente (Dio vieni a salvarmi!) viene “presto”.
Per chi invece non si cura di piacere a Dio ma solo a se stesso questa frase è un monito severo. In ogni caso Dio viene e se ci trova in combattimento combatterà e vincerà per noi, se ci trova addormentati o in gozzoviglie sarà un padrone severo. In un certo senso siamo noi che diamo un volto a Dio. Per questo il giusto del Signore, colui che attende e vuole seguire Gesù anche attraverso le prove, vivrà per fede, appoggiandosi totalmente al suo Salvatore e contando sulla sua salvezza.
Ci sono varie letture di questo passo e al solito Paolo e l'autore della lettera agli Ebrei lo leggono con la versione greca dei LXX, un po’ diversa da quella dei testi ebraici antichi. Ma l’essenziale è che la vita e la vittoria del credente è dovuta alla sua incrollabile fiducia nella fedeltà di Dio.
Quando parliamo di fede dobbiamo sempre tener conto di questo fatto: la fede non è una teoria astratta, ma una relazione. Il credente rischia la sua vita perché si fida della fedeltà e della verità della Parola di Dio; la fede è qualcosa di molto dinamico e l’autore citando questo versetto vuole incoraggiare i perseguitati del suo tempo. E così introduce i capitoli seguenti sulla fede e sulla perseveranza.
Per cui ciò che segue, abbastanza diverso nel greco citato e nel testo ebraico, parla del contrario del giusto. “se cade non porrò in lui il mio amore”. Colui che cede non è chi dice Dio non c’è, ma colui che non si fida di Dio e di fronte alla prova si tira indietro, arrossisce del Signore.
Proprio per questo in lui non può compiacersi lo Spirito del Signore, “non porrò in lui il mio amore”. Possiamo ricordare la parola del Padre al Battesimo di Gesù. Gesù non si è tirato indietro davanti alla prova, quella che lui stesso chiamerà Battesimo che deve ricevere. Chi persevera nella fede con Gesù sarà anche lui chiamato figlio diletto. Ma chi si tira indietro e non crede, non si appoggia alla fedeltà del Signore ma solo sulla falsa prudenza umana, non può essere chiamato figlio, perché su di lui non si può posare l’amore del Padre.
È come se l’amore arrivando per abbracciarlo non lo trovasse.
Dobbiamo pensare che la fede è il nostro pane quotidiano e che quotidianamente l’amore di Dio ci cerca nella nostra fede per abbracciarci e dirci “tu sei mio figlio”.