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Ebrei 11,3 (10)

Omelie al capitolo della comunità per la Quaresima - 10/03/2012

Per fede, noi sappiamo che i mondi furono formati dalla parola di Dio, sicché dall’invisibile ha preso origine il mondo visibile. (Ebrei 11,3)

Comincia qui l’elenco delle “opere della fede”, cioè ciò che la fede suscita in noi e ha suscitato nei grandi uomini della storia del popolo.
“Per fede”: come un ritornello l’autore dipinge un grande quadro di ciò che nella storia è stato fatto e compiuto grazie alla fede, a causa di questa fiducia nel Dio provvedente.
Ma l’elenco comincia con un atto di fede nostra.
Per fede noi sappiamo che i mondi furono formati dalla parola di Dio sicché dall’invisibile ha preso origine il mondo visibile.
Siamo riportati all’inizio della Genesi, con quella parola fortissima: Dio disse: sia la luce. E la luce fu così pure tutte le altre cose scaturite dal semplice dire di Dio.
Certo oggi questo versetto è molto contestato e forse non potremmo dirlo con così grande semplicità se volessimo fare un trattato scientifico. Ma la parola teologica è più a monte della ricerca scientifica, e, pur non spiegando il come delle cose e degli eventi, dà loro un senso unendo il principio alla fine, la causa e l’effetto
Cosa dice la lettera agli Ebrei che noi sappiamo, non che abbiamo scoperto. La fede infatti ci dà di sapere, non di aver dedotto, sperimentato o tratto conclusioni da ragionamenti.
Certo la fede stimola il pensiero, l’intelligenza, una sana curiosità. Continuamente ci chiediamo “cos’è questo?” o “come avviene, da dove viene ecc.”
Ma la fede è prima di queste domande. Come Dio ha creato il mondo con la sua Parola, non possiamo capirlo e possiamo solo studiare l’evoluzione di questo fatto.
Abbiamo dunque due tipi di sapere, di conoscenza.
L’atto di fede che aderisce alla Parola detta da Dio, e crediamo che Dio ce la dice. E le deduzioni che possiamo trarre da questa Parola accolta o dalle esperienze che facciamo.
L’atto di fede dunque non pretende lasciarci nell’ignoranza, anzi ci stimola a capire, a crescere in conoscenza, a cercare la luce.
Lo stesso testo biblico va accolto con un atto di fede e poi suscita ricerche e interrogativi sul suo significato teologico, sulle sue conseguenze pratiche e anche sul suo modo di essere scritto. Ma se la Scrittura è guardata solo in senso scientifico non è una Parola detta a noi, ma un testo morto anche se può essere considerato un reperto archeologico interessante.
L’autore della lettera agli Ebrei dice che noi “sappiamo” per intuizione, per conoscenza immediata dovuta all’accoglienza della Parola. Per dire mondo usa la parola che spesso, specie della liturgia noi traduciamo con “secoli dei secoli”. Non parla della materialità delle cose, ma del loro essere nel tempo, mentre Dio è fuori del tempo. Le cose evolvono nel tempo, si formano, si disfano, ne producono delle altre.
E la conseguenza è che ciò che è visibile, cioè materiale viene dal non visibile, ciò che appare da ciò che non appare.
Questo passaggio è per l’uomo un passaggio che supera la sua capacità di ragionamento e pone l’uomo davanti al mistero invitandolo a partire da un atto di fede in ciò che Dio dice. Poi deve scrutare le conseguenze.