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Quaresima 2013 - Letture per Vigilie (3)

24/02/2013

Dalle Rivelazioni di Giuliana di Norwich*

Il Signore infuse un supremo piacere spirituale nella mia anima… Questo sentimento era così dolce e così spirituale che mi sentii immersa totalmente nella pace, nella quiete e nel riposo, sicura che niente sulla terra avrebbe potuto affliggermi.
Questo durò solo un po', dopo tutto mutò, e fui abbandonata a me stessa, sentendomi oppressa dalla fatica dell'esistenza e dal disgusto per me stessa, al punto che a stento riuscivo a sopportare di vivere. Non avevo nessun conforto né sollievo al mio stato d'animo se non la fede, la speranza e la carità, e queste io le possedevo come verità, ma erano scarsissimamente presenti nel sentimento. E subito dopo ciò il nostro beato Signore mi diede di nuovo il conforto e il riposo dell'anima, una gioia e una sicurezza così beata e forte che nessun timore, nessuna sofferenza, nessun dolore fisico o spirituale che potevo soffrire sarebbe riuscito a togliermi dalla tranquillità. E allora il dolore apparve di nuovo nel mio sentimento, e poi la gioia e il piacere, e ora l'una e ora l'altro, diverse volte, penso una ventina di volte. E nell'ora della gioia avrei potuto dire con S. Paolo: «Niente mi separerà dalla carità di Cristo», e nell'ora del dolore avrei potuto dire con S. Pietro: «Signore, salvami, perisco». 
Questa visione mi fu mostrata per insegnare al mio spirito che giova ad alcune anime provare questi sentimenti, essere cioè per un tempo nel conforto, e per un tempo venir meno ed essere abbandonate a se stesse. Dio vuole che sappiamo che egli ci mantiene sempre nella medesima sicurezza, sia nella desolazione che nel benessere; e per il vantaggio dell'anima qualcuno è talvolta lasciato a se stesso, anche se non è il peccato ad essere causa di ciò. Perché in quel tempo io non avevo peccato così da essere lasciata a me stessa, essendo stata la cosa così improvvisa, e neanche avevo meritato quel senso di beatitudine, ma il Signore lo concede liberamente quando vuole, e ci lascia talvolta nel dolore, e tutte due le cose vengono da un unico amore. Poiché è volontà di Dio che noi ci manteniamo nella consolazione con tutta la nostra forza, perché la gioia durerà senza fine, e il dolore è transitorio, e sarà ridotto al nulla per quelli che si salvano. Perché non è secondo la volontà di Dio che noi rimaniamo afflitti quando proviamo dolore e ci mettiamo a lamentarci, ma dobbiamo rapidamente superarlo e tenerci fermi nella gioia eterna che è Dio.

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Avrei voluto distogliere gli occhi dalla croce, ma non osavo, perché sapevo bene che finché contemplavo la croce ero sicura e salva… Allora venne alla mia ragione una proposta, detta con tono amichevole: «Guarda in cielo, a suo Padre». E allora io vidi chiaramente, con la fede che sentivo, che non c'era nulla tra la croce e il cielo che potesse inquietarmi. Qui dovevo guardare in alto o rispondere. Risposi interiormente con tutta la forza della mia anima, e dissi: «No, non posso, perché tu sei il mio cielo». Così io dissi perché non volevo alzare gli occhi: avrei preferito infatti rimanere in quel dolore fino al giorno del Giudizio piuttosto che giungere al cielo per un'altra via che non fosse lui. Poiché sapevo bene che colui che mi teneva legata così dolorosamente mi avrebbe sciolto quando a lui fosse piaciuto.
Così imparai a scegliere Gesù come mio cielo, proprio mentre lo vedevo in quel momento tutto nel dolore. Non mi piaceva nessun altro cielo all'infuori di Gesù, e lui sarà la mia gioia quando vi arriverò. Ed è sempre stato motivo di conforto per me l'aver scelto Gesù come mio cielo, per sua grazia, in tutto quel tempo di passione e di sofferenza. E questo è stato un insegnamento per me: continuare sempre a scegliere Gesù come mio cielo, nel benessere e nella desolazione.
E benché io, misera, mi fossi pentita di aver fatto quella richiesta, come ho detto prima - che cioè se avessi saputo quale dolore questo comportava sarei stata riluttante a chiedere di condividerlo - qui io vidi chiaramente che si trattava di una ribellione dovuta alla tirannia della carne senza il consenso dell'anima, cosa che Dio non biasima. La riluttanza e la scelta deliberata sono due cose opposte, e io le provavo simultaneamente; e queste sono due parti, una esterna e una interna. La parte esterna è la nostra carne mortale, che ora è nella pena e ora nel dolore, e sarà sempre così in questa vita, come sentivo fortemente in quel momento: e questa è la parte che in me era riluttante. La parte interna è una vita nobile e benedetta che è tutta nella pace e nell'amore, e questa è sentita più intimamente, ed è in questa parte che con forza, con saggezza e con decisione scelsi Gesù come mio cielo.
E in questo io vidi veramente che la parte interna è sovrana e signora di quella esterna, e non dà importanza né presta attenzione al volere dell'altra, ma in essa tutto lo sforzo e la volontà sono indirizzati continuamente a vivere in unione con il nostro Signore Gesù. Che la parte esterna debba trascinare al consenso quella interna, questo non mi fu rivelato; ma che la parte interna attrae quella esterna per grazia, e che ambedue saranno unite nella gioia eterna per virtù di Cristo, questo mi fu rivelato. 
 
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Vidi nostro Signore Gesù soffrire a lungo, perché l'unione con la divinità dava alla sua umanità forza di soffrire per amore più di quanto possano tutti gli altri uomini… E in questo egli portò alla mia mente in parte la sublimità e la nobiltà della gloriosa divinità, e inoltre la preziosità e la tenerezza del suo corpo beato che era ad essa unito, e ancora la riluttanza che la nostra natura prova di fronte al dolore. Poiché, proprio in quanto era tenerissimo e purissimo, egli era straordinariamente forte di fronte alla sofferenza. Ed egli soffrì per i peccati di tutti gli uomini che saranno salvati, ed egli vide e soffrì in sé, per simpatia e amore, il dolore, la desolazione e l'angoscia di ogni uomo… E ancora di più, in quanto la sua dolce umanità era di una natura più nobile, e fino a quando poté egli soffrì per noi e si afflisse per noi. E ora egli è risorto e non può più soffrire; e tuttavia egli soffre con noi, come dirò più avanti. Ed io, contemplando tutto ciò per sua grazia, vidi che in lui l'amore per la nostra anima era così forte che egli scelse volontariamente e con gran desiderio di soffrire, e soffrì pazientemente e con grande gioia… 
È volontà di Dio, secondo quanto comprendo, che noi contempliamo la sua beata passione…  considerare con contrizione e compassione l'atroce pena che egli soffrì; e questo è quanto il Signore mi mostrò in quel momento, e mi diede forza e grazia per comprenderlo... E proprio nello stesso momento in cui mi parve che la sua vita non potesse durare più a lungo, e la visione della fine si avvicinasse inesorabilmente, all'improvviso, mentre stavo contemplando il medesimo crocifisso di prima, egli cambiò nell'aspetto del suo volto beato. Il mutamento del suo volto beato trasformò anche me, ed io mi sentii felice e gioiosa nel grado massimo possibile. Allora nostro Signore lietamente sussurrò al mio spirito: «Dove è finita ora ogni tua angoscia e ogni tua pena?» E io fui ricolma di gioia: compresi che per nostro Signore noi siamo ora sulla sua croce con lui nei nostri dolori, e che moriamo nella nostra passione, e volentieri rimaniamo sulla medesima croce con il suo aiuto e la sua grazia fino all'ultimo momento. Improvvisamente vedremo mutare l'espressione del suo volto, e noi saremo con lui in cielo. Tra un momento e l'altro sarà un istante: e poi tutto sarà trasformato in gioia...
Il motivo per cui egli patì è perché vuole per sua bontà renderci eredi con lui nella gioia. E in cambio delle piccole pene che noi soffriamo in questa vita, avremo una sublime ed eterna conoscenza di Dio, che non potremmo altrimenti mai avere.

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È volontà di Dio che noi abbiamo in lui un vero gaudio per la nostra salvezza, ed egli vuole che da questo venga a noi un potente conforto e una grande forza, e quindi vuole che la nostra anima sia gioiosamente occupata dalla sua grazia. Poiché noi siamo la sua gioia, ed egli si compiace in noi eternamente, così come noi godremo in lui con la sua grazia. Tutto quanto egli fa, ha fatto e farà per noi, non è né può essere per lui peso o fatica, tranne quando morì rivestito della nostra umanità, cominciando al momento della dolce incarnazione fino alla beata risurrezione nel mattino di Pasqua. Tutto questo tempo durò il prezzo e la fatica spesa per la nostra redenzione, e di questa impresa egli continua a gioire eternamente…
Tutta la Trinità operò nella passione di Cristo, offrendoci abbondanza di virtù e pienezza di grazia mediante lui: ma solo il figlio della Vergine soffrì, del che tutta la beata Trinità si rallegra. E questo fu mostrato in questa parola: «Sei appagata?» Con un'altra parola Cristo disse: «Se tu sei pienamente appagata, io sono pienamente appagato», come se avesse detto: «è una gioia e un gaudio che mi bastano, e non chiedo altro da te a proposito della mia sofferenza se non che io possa appagarti».
Ed in questo egli mi rammentò la caratteristica di uno che dona con gioia. Ogni persona che dona con gioia presta poca attenzione alla cosa che dà, ma tutto il suo desiderio e il suo intento sono di far piacere e di recare sollievo a colui al quale dà il suo regalo. E se colui che lo riceve accoglie il dono con gioia e con riconoscenza, allora il gentile donatore non fa alcun conto di quello che ha speso e sofferto per la gioia e la felicità che gli viene dal fatto di aver compiaciuto e confortato colui che egli ama. Questo mi fu mostrato in modo assolutamente chiaro… Poiché in questo mi fu rivelata una profonda conoscenza dell'amore con cui egli ci salvò, con le numerose gioie che derivarono dalla passione di Cristo. Una è che egli si rallegra di averla sofferta, e che non patirà più. Un'altra è che con la passione egli ci ha redenti dalle pene eterne dell'inferno. Un'altra è che egli ci ha portato in cielo facendoci diventare la sua corona e la sua felicità eterna.

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Con volto ilare il nostro buon Signore guardò il suo fianco e lo contemplò con gioia, e con il suo dolce sguardo guidò la mente della sua creatura attraverso quella stessa ferita dentro il suo fianco; e là egli mostrò un luogo bello e delizioso, largo abbastanza da contenere tutta l'umanità salvata perché vi riposasse nella pace e nell'amore. E con questo egli rammentò il preziosissimo sangue e l'acqua che egli lasciò sgorgare dal suo costato per amore. E in questa dolce contemplazione mostrò il suo cuore beato spaccato in due e, rallegrandosi, mostrò alla mia mente in modo parziale la sua divinità benedetta, nella misura da lui voluta in quel momento, dando così forza alla povera anima perché potesse comprendere ciò che si può esprimere con le parole, cioè l'amore infinito che non ha principio, è, e sempre sarà. E con ciò il nostro buon Signore disse pieno di gioia: «Guarda quanto ti amo»; come se avesse detto: «Mia cara, contempla e vedi il tuo Signore, il tuo Dio, che è il tuo creatore e la tua gioia eterna: vedi il tuo fratello, il tuo salvatore; figlia mia, contempla e vedi quale gaudio e felicità io provo per la tua salvezza, e per il mio amore rallegrati con me».
E inoltre, per una comprensione più profonda, fu detta questa beata parola: «Guarda quanto ti amo», come se avesse detto: «Contempla e vedi che ti ho amato talmente, prima che morissi per te, da voler morire per te. E ora io sono morto per te, e ho sofferto volentieri quello che ho potuto. E ora tutte le mie pene amare e tutto il mio duro travaglio sono trasformati in gioia eterna e in felicità per me e per te. Come potrebbe avvenire ora che tu mi chieda qualcosa che mi è gradito senza che io te lo conceda con tanta gioia? Il mio gaudio è la tua santità e la tua gioia e felicità eterna con me».
Questo è il senso, semplicemente, come riesco a dire, di questa beata parola: «Guarda quanto ti ho amato!» Questo mi mostrò il nostro buon Signore per renderei felici e gioiosi.
 
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Nostro Signore riportò alla mia mente il desiderio che prima avevo provato per lui, e vidi che niente mi era di ostacolo se non il peccato, e pensai che questo riguarda tutti noi, e riflettei che se non ci fosse stato il peccato tutti noi saremmo stati puri e simili a nostro Signore, così come lui ci aveva creati. E così nella mia mente superficiale mi ero spesso chiesta con meraviglia, prima di quel momento, come mai la grande e preveggente sapienza di Dio non avesse impedito il sorgere del peccato. Perché in quel caso, pensavo, tutto sarebbe stato bene.
Questo impulso curioso doveva essere assolutamente abbandonato; e tuttavia ne ricavavo pianto e sofferenza, senza ragione né discernimento. Ma Gesù, che in questa visione mi informò di tutto guanto avevo bisogno, mi rispose con questa parola, e disse: «Il peccato è inevitabile, ma tutto sarà bene, e tutto sarà bene, e ogni specie di cosa sarà bene». In questa semplice parola "peccato" nostro Signore ricordò alla mia mente tutto ciò che non è buono, e il vergognoso disprezzo e l'orrenda tribolazione che egli sopportò per noi in questa vita, e la sua morte e le sue pene, e la passione di tutte le sue creature nello spirito e nel corpo. Perché tutti noi siamo in parte tribolati, e continueremo ad esserlo, seguendo il nostro maestro Gesù, fino a che saremo purificati nella nostra carne mortale e in tutti i nostri affetti interiori che non sono perfettamente buoni.
E contemplando ciò, con tutte le pene che mai ci furono o ci saranno, io compresi che la passione di Cristo era la pena più grande, al di là di tutte le altre. E tuttavia questo mi fu mostrato in un istante, e la visione si trasformò rapidamente in conforto. Perché il nostro buon Signore non volle che l'anima si spaventasse davanti a questa orribile visione. Ma il peccato non lo vidi, perché credo che non abbia una sua sostanza né alcuna forma di essere, né può essere riconosciuto se non per la sofferenza che ne deriva. E questa sofferenza è qualcosa, mi sembra, che dura solo per un certo tempo, perché ci purifica e ci fa conoscere noi stessi e ci fa chiedere misericordia; poiché la passione di nostro Signore è per noi un conforto contro tutto ciò, e questa è la sua beata volontà. E per il tenero amore che nostro Signore ha per tutti quelli che saranno salvati, egli ci conforta subito e con dolcezza, volendo dirci con questo: «È vero che il peccato è la causa di tutta questa sofferenza, ma tutto sarà bene, e ogni specie di cosa sarà bene».
Queste parole mi furono rivelate con grande tenerezza, senza alcuna ombra di biasimo per me e per tutti quelli che saranno salvati. Allora sarebbe davvero innaturale che io biasimassi Dio o mi stupissi con lui per il mio peccato, dal momento che egli non mi biasima per il peccato.
E in queste stesse parole io vidi un profondo e meraviglioso segreto nascosto in Dio, segreto che egli rivelerà apertamente e ci farà conoscere in cielo. Quando lo conosceremo potremo vedere veramente il motivo per cui egli lasciò entrare il peccato nel mondo, e vedendo ciò saremo nella gioia senza fine.

*Giuliana di Norwich, Libro delle rivelazioni, Milano 1984, estratti dai capitoli XV, XIX, XX, XXI, XXIII, XXIV, XXVII