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Le cinque tentazioni da cui papa Francesco ci mette in guardia

Meditazione di p. Cesare Falletti tenuta per l'Associazione Amici di Leletta - 21/02/2015

Al momento della chiusura della prima fase del Sinodo straordinario sulla famiglia nell'Ottobre scorso, il Papa Francesco ha fatto un discorso, che, per il suo tono e il suo contenuto, segna un momento di grandissima importanza nella storia della Chiesa. Personalmente spero che non cada nell'oblio e che se ne tragga il grande insegnamento. E' stato l'unico suo intervento in tutto il Sinodo, a cui ha però partecipato assiduamente, ascoltando, e questo è già un atteggiamento che sconvolge le abitudini, e chiedendo espressamente che si evitasse di dire “ciò che fa piacere al Papa e tacere ciò che potrebbe dispiacergli”. La figura del Papa ne esce rinnovata. E' un uomo che non solo sa ascoltare, ma ha bisogno di essere consigliato e di ascoltare; pur avendo la responsabilità della decisione, questa decisione nasce da un lavoro dello Spirito santo presente in una assemblea di Vescovi e altri cristiani, che riflettono insieme per rispondere alle grandissime sfide del nostro tempo. Riflettere insieme e ascoltare insieme lo Spirito santo è ciò che ci rende Chiesa, riunita dalla Parola di Gesù per celebrare la Misericordia del Padre. Le sue risposte e i suoi suggerimenti di grandissimo valore e profondamente radicati teologicamente, spesso sono dati in occasioni di minore importanza e con un tono poco cattedratico. Qui il momento era solenne e importantissimo, sotto gli occhi di tutto il mondo e ha saputo dire cose molto urgenti. Purtroppo gli occhi dei media puntati sul Sinodo volevano risposte spicciole e ad effetto e si sono ritirati un po' immusoniti perché tali risposte non ci sono state. Ma le novità sono state molte e di peso, soprattutto in ciò che è successo più che in ciò che si è detto.

Per questo ho pensato di riprendere con voi questo discorso per gustarne la bellezza e l'importanza.

Il Papa ha parlato del Sinodo, che significa “cammino insieme”; e ha detto: “essendo stato "un cammino" - come in ogni cammino ci sono stati dei momenti di corsa veloce, quasi a voler vincere il tempo e raggiungere al più presto la meta; altri momenti di affaticamento, quasi a voler dire basta; altri momenti di entusiasmo e di ardore. Ci sono stati momenti di profonda consolazione ascoltando la testimonianza dei pastori veri, che portano nel cuore saggiamente le gioie e le lacrime dei loro fedeli. Momenti di consolazione e grazia e di conforto ascoltando e testimonianze delle famiglie che hanno partecipato al Sinodo e hanno condiviso con noi la bellezza e la gioia della loro vita matrimoniale. Un cammino dove il più forte si è sentito in dovere di aiutare il meno forte, dove il più esperto si è prestato a servire gli altri, anche attraverso i confronti.”

Tutti conosciamo questo alternarsi di sentimenti e umori, di slanci e di soste; ma non camminiamo da soli. Camminando e avanzando nella vita siamo, e diventiamo sempre più solidali e responsabili gli uni degli altri, al punto che i più forti aiutano i più deboli e viceversa, perché ciascuno ha ricevuto un dono che deve mettere in comune.

Certo nel Sinodo, come nella vita, possono succedere tensioni e incomprensioni, fatiche di ogni genere che suscitano quelle che il Papa chiama “tentazioni”, prove che scandalizzano, cioè mettono inciampo al cammino comune, lo rallentano e vogliono impedire il successo dell'iniziativa. Ma ogni prova ha anche il suo lato positivo, perché stimola alla lotta, al cercare soluzioni, a non addormentarsi nella facilità o nel trantran banalizzante e sterilizzante. La tentazione è una sfida, ma occorre avere discernimento per smascherare le ambiguità che con essa ci assediano. Nella nostra testa pullulano i ragionamenti che vogliono darci ragione, ma che spesso sono suggerimenti che ci fanno deviare o arenare, invece di spingerci a correre. Per questo il Papa come responsabile del “cammino insieme” e dell'avanzare della Chiesa nella storia, punta il dito su alcune di queste tentazioni, che certo attaccano i vescovi che discutono e devono cercare la verità e il modo di condurre rettamente il gregge, ma che tutti possiamo riconoscere nel nostro modo di vivere e pensare. Essere capaci di discernere, smascherare e combattere le tentazioni è uno dei grandi lavori del cristiano e di ogni persona che vuole vivere umanamente e spiritualmente al seguiro di Gesù e del Vangelo.

Francesco ha detto: “E poiché essendo un cammino di uomini, con le consolazioni ci sono stati anche altri momenti di desolazione, di tensione e di tentazioni, delle quali si potrebbe menzionare qualche possibilità”.

Voglio cominciare col sottolineare la dialettica consolazioni-tentazioni, che non verrebbe spontanea.

Alle consolazioni noi opporremmo le desolazioni, mentre la tentazione vuole impedire l'addormentarsi in una situazione “tutto facile”. La consolazione non è solo asciugare le lacrime, ma anche essere gratificati da qualcosa che ci fa star bene, che ci dà gioia e serenità. Finché siamo sulla terra se non c'è contraddizione si rischia di addormentarsi nella facilità, credendo per esempio di essere santi mentre il cammino è ancora lungo. La tentazione ci fa prendere coscienza che dobbiamo essere vigilanti in ogni momento, come il Vangelo ci chiede con insistenza. “Vegliate e pregate per non cadere nella tentazione”. E se c'è la tentazione c'è anche la possibilità di cadere; ma l'importante è non arrestarsi e rialzarsi ed avanzare.

Per questo il Papa sottolinea in particolare cinque tentazioni, non certo elenco completo di ogni raggiro del diavolo, ma qualcosa che ci può rendere più attenti; è una luce che possiamo ricevere nella nostra vita per il nostro combattimento quotidiano.

 

La prima tentazione è quella che il Papa chiama “dell'irrigidimento ostile, cioè il voler chiudersi dentro lo scritto (la lettera) e non lasciarsi sorprendere da Dio, dal Dio delle sorprese (lo spirito); dentro la legge, dentro la certezza di ciò che conosciamo e non di ciò che dobbiamo ancora imparare e raggiungere. Dal tempo di Gesù, è la tentazione degli zelanti, degli scrupolosi, dei premurosi e dei cosiddetti - oggi - "tradizionalisti" e anche degli intellettualisti.”

Non è solo una tentazione per alcuni schieramenti ecclesiali, ma possiamo interrogarci quanto davanti a grandi o piccoli avvenimenti siamo diretti da uno sguardo intelligente e aperto oppure se chi ci spinge è l'insicurezza o la paura. La storia avanza e ci pone delle sfide: è certo che non possiamo andare contro la storia, il cosiddetto progresso, le innovazione tecniche, sociali e di mentalità. Non possiamo però neppure rinunciare a una sana critica. La tentazione è quella di giocare solamente in difesa o di lasciarsi trascinare acriticamente. La lettera uccide e lo Spirito vivifica – ha detto Gesù e qui ci viene presentato il Dio delle sorprese.

Due cose mi sembra possono interpellarci: la prima è quella che dice il Papa: rimanere attaccati a uno schema che ha forse dato frutti buoni, ma che rischia di non lasciar più spazio alla vita. L'altro è rifiutare ogni rischio o incertezza chiudendo il nostro futuro in una scatola e praticamente impedendo ogni via alla Provvidenza. Dio ha molta fantasia. La paura è sempre pessima consigliera e il cristiano deve guardare verso il futuro, il Signore che viene, e non verso il passato, che è cosa morta e spesso viene rivisitato in chiave di illusione, di nostalgia o di rimpianto – tutte cose morte e sterili.

Non bisogna confondere questa tentazione con la giusta e doverosa attenzione alla tradizione, al fatto che siamo ricchi di una esperienza e di una ricerca che hanno fatto i nostri padri, anche loro eredi di un ricco passato e coraggiosi nel far avanzare la storia. Nessuna epoca è stata l'età dell'oro! Ognuno ha dovuto ricevere e innovare e così possiamo dirci più fortunati dei nostri avi e con una ricchezza di fede, di cultura e di esperienza superiore a quella del tempo passato.

Francesco parla di tentazione intellettualista, credo perché la tentazione di cui ha parlato sta nella testa, nelle idee e non si confronta con la storia, col vissuto nostro e degli altri, con la fatica del vivere. La teoria è sempre limpida... e riposata! Ma la pratica è ben diversa e nella sua predicazione sulla Misericordia il Papa è molto attento alla fatica del vivere. Questo gli ha fatto dire: Chi sono io per giudicare? Certo, come Papa può ben dire qual'è la legge, come i farisei davanti all'adultera. Ma come Padre e Pastore non può gettare la prima pietra.

Ma esiste una seconda tentazione parallela a questa. Il Papa infatti continua: “La tentazione del buonismo distruttivoche a nome di una misericordia ingannatrice fascia le ferite senza prima curarle e medicarle; che tratta i sintomi e non le cause e le radici. È la tentazione dei "buonisti", dei timorosi e anche dei cosiddetti "progressisti e liberalisti". Sembrerebbe una tentazione contraria, ma ha radici comuni, perché è sempre un appoggio sulla teoria e non sulla pratica. Il buonismo può venire da una eccessiva sottolineatura della Misericordia, che non tiene conto del concreto e quindi del peccato e annulla ogni gravità, ogni spessore del vissuto, negando la dignità all'uomo che deve essere messo difronte ai suoi atti e alle loro conseguenze. Ma il buonismo può anche diventare una facile scappatoia dalla responsabilità del dover correggere. C'è una parola di Dio in Ezechiele molto grave: Figlio dell'uomo, ti ho posto come sentinella per la casa d'Israele. Quando sentirai dalla mia bocca una parola, tu dovrai avvertirli da parte mia. Se io dico al malvagio: «Tu morirai!», e tu non lo avverti e non parli perché il malvagio desista dalla sua condotta perversa e viva, egli, il malvagio, morirà per la sua iniquità, ma della sua morte io domanderò conto a te. Ma se tu avverti il malvagio ed egli non si converte dalla sua malvagità e dalla sua perversa condotta, egli morirà per la sua iniquità, ma tu ti sarai salvato. Così, se il giusto si allontana dalla sua giustizia e commette il male, io porrò un inciampo davanti a lui ed egli morirà. Se tu non l'avrai avvertito, morirà per il suo peccato e le opere giuste da lui compiute non saranno più ricordate, ma della morte di lui domanderò conto a te. Se tu invece avrai avvertito il giusto di non peccare ed egli non peccherà, egli vivrà, perché è stato avvertito e tu ti sarai salvato». (Ez 3,19-21)

Questo testo mette in luce l'importanza del saper dire le cose come stanno. Se da una parte non bisogna barricarsi nella teoria, dall'altra non bisogna né credere, né far credere che non esiste nessuna norma che possa aiutare a vivere il cammino della vita arrivando verso una bella meta e che tutto va bene.

Le immagini del fasciare prima di curare e di una misericordia ingannatrice sono forti. Si trattano i sintomi e non le cause: è una tentazione anche in medicina; si tenta di calmare tutti gli spiriti per non avere il peso della correzione. Il buonismo è una via di uscita vile dalla vera carità, perché condanna al degrado, invece di aiutare a crescere e ad acquistare una vera dimensione umana. La dittatura della teoria non può essere combattuta dal buonismo, ma da un aiuto misericordioso che non condanna, ma mostra la piaga e propone la via di guarigione. Anche quelli che il Papa chiama i liberalisti, sono gente in fuga dalla responsabilità. Non si tiene conto che l'uomo è fragile e che se è solo nessuno lo risolleva quando cade, come dice la S. Scrittura, mentre un amico aiutato da un amico è come una fortezza.

Non troviamo una via di uscita scandalizzandoci, perché la fragilità dell'uomo deve commuoverci e non scandalizzarci. Ma non è giusto rimanere immobili a piangere come non è giusto puntare il dito.

Naturalmente Francesco parla di atteggiamenti che si tengono davanti allo zoppicante cammino della Chiesa. Con le sfide del giorno d'oggi, di una società cambiata in brevissimo tempo. E' doveroso riflettere aiutati anche dalla storia, da tutta la storia e non solo da quelle di epoche che ci convengono. Sappiamo che il “si è sempre fatto così”, come “la Messa di sempre” ecc. sono cose che spesso non hanno neanche 300 anni! (su 2000!). Con la storia però devono venirci in aiuto anche le scienze umane e anche la tecnica. Non si deve né idolatrare né demonizzare ogni scoperta, invenzione o tentativo di evolvere.

Il Papa ci dà un buon insegnamento per aiutarci, anche nella “piccola” storia della nostra vita, a far fronte e a viverla in prima persona, senza a priori acritici o rivoluzioni inopportune. Saper guardare, riflettere, consigliarsi e discutere, e infine avere una opinione che permette una decisione e un comportamento sano e saggio. In questo mi sembra che una buona frequentazione della Parola di Dio ci dia una vera mano, perché ci permette di vedere il lavoro di Dio nella storia.

Forse tutto il cammino del Sinodo ci appare come estraneo alla nostra vita semplice e quotidiana, ma dobbiamo ricordarci che siamo Chiesa e Chiesa in cammino e che questo cammino non avviene senza di noi; se ci blocchiamo o ci tiriamo fuori, rallentiamo il cammino di tutti, il cammino della Chiesa nella storia verso il Regno di Dio, il cammino di “uscita” verso le periferie per annunciare il Vangelo “affinché tutti siano uno”.

Nel discorso post-sinodale dello scorso Ottobre il Papa ha poi sottolineato altre tre tentazioni o modi errati di guardare la vita ecclesiale e di parteciparvi.

La prima può essere guardata sotto un aspetto più ecclesiale, ma fa riflettere anche per quanto riguarda i rapporti e la vita personale di ciascun cristiano. Essa si articola in due posizioni non opposte, piuttosto complementari:

“La tentazione di trasformare la pietra in pane per rompere un digiuno lungo, pesante e dolente e anche di trasformare il pane in pietra e scagliarla contro i peccatori, i deboli e i malati cioè di trasformarlo in "fardelli insopportabili"

Nella prima parte riconosciamo una delle tentazioni di Gesù nel deserto: al momento di cominciare la sua missione messianica di annuncio della salvezza, Gesù si è trovato difronte alla scelta del facile successo attraverso “miracoli”, che oggi possiamo ben leggere come comportamenti per ingraziarsi la folla e ottenere un potere non dovuto alla fede in lui, ma alla ricerca di facili compromessi, di appagamento delle voglie, di un seguire la mentalità del mondo per farsi seguire: scelta che era evidentemente per un potere falso, personale e non per l'annuncio della salvezza, quindi totalmente contrario alla volontà del Padre e alla sua missione. E' la via della facilità, dell'impegno superficiale che non costa molto. Via scelta da molte sette: l'annuncio del benessere piuttosto che del dono di sé. Naturalmente questo solletica una parte importante di ciascuno di noi e la lotta quaresimale è proprio in questa conversione; gli sforzi pratici di penitenza se non sono orientati al dono di sé, al bene comune e alla venuta del Regno di Dio, sono inutili.

Il digiuno lungo e pesante era sì quello dei 40 giorni, ma era anche il segno di una missione non nel potere e piacere, ma nell'Incarnazione nella povertà e debolezza dell'uomo. Quando facciamo delle scelte, da che parte ci mettiamo? da quella del comodo e della facilità che non conduce a niente salvo ad uno star bene egoista e breve, oppure guardiamo il bene comune, la salvezza dell'uomo, la volontà di amore del Padre. In poche parole siamo sfidati a vedere se la vita che ci attira è quella del Vangelo o se la nostra religiosità è fatta di qualche pratica e di qualche parola che ci scomodano poco. E' ciò che i martiri hanno vissuto: mentre molti rinnegano la fede per non rischiare, i veri martiri, anche bambini come abbiamo visto recentemente, affermano la loro appartenenza a Cristo a costo della vita.

Ma difronte al cambio delle pietre in pane, il Papa mette la tentazione di cambiare il pane in pietre da scagliare contro peccatori, i deboli e i malati. Naturalmente riconosciamo l'episodio evangelico dell'adultera salvata. Ciò che è la cosa più comune a tutti, il pane, ma in genere tutto ciò che materialmente e spiritualmente è di prima necessità, può diventare una terribile arma per schiacciare e dominare, condannare e sfruttare, senza però sollevare i pesi che gettiamo sugli altri con un solo dito. E' facile difendere la legge, la morale comune, il buon ordine, quando il peso che queste cose comportano necessariamente non ci sfiora neanche. Lo vediamo costantemente: difensori strenui della legge, sfiorati da un problema cambiano presto di avviso!

Nei due casi non si serve il Signore e neanche i fratelli, ma ci si serve cercando di affermare se stessi col mettere l'esigenza evangelica sulle spalle degli altri, ma cercando vie di facilità e di compromesso per se stessi. Mentre deve essere il contrario e molti santi l'hanno mostrato: severità con se stessi, perché sappiamo quanto possiamo dare, mentre con gli altri la misura è la misericordia, perché solo Dio conosce il cuore dell'uomo. Colui che è evangelicamente generoso sa “digiunare”, ma il digiuno va con l'elemosina. Non esiste una vera penitenza e ascesi cristiana che non sia legata alla misericordia. Infatti se il cuore si indurisce la croce che si prende sulle spalle non è quella di Gesù. Ricordiamo che il Papa ha parlato di questo nel contesto del Sinodo sulla famiglia e quindi guardando quella massa di problemi che si pongono se guardiamo da vicino e non con le tavole di pietra della legge, la vita e le difficoltà quotidiane. Proprio in questo campo della famiglia possiamo riconoscere che non tutte le situazioni sono uguali, non tutte le persone hanno gli stessi doni e che non si può fare di tutt'erba un fascio. La misericordia di Gesù, che non ha giustificato l'adultera, ma l'ha salvata, è la misura che ci è proposta.

 

La quarta tentazione non è molto diversa da queste:

La tentazione di scendere dalla croce, per accontentare la gente, e non rimanerci, per compiere la volontà del Padre; di piegarsi allo spirito mondano invece di purificarlo e piegarlo allo Spirito di Dio. Come si vede il Papa non fa un discorso astratto, ma si ancora sulle tentazioni di Gesù: l'ultima tentazione di Gesù, malgrado certi films, non è stata quella “rifarsi una vita”, ma ancora una volta quella di scegliere la via della facilità, che non è la via dell'amore. L'amore si dà fino alla fine, totalmente, e non riserva nulla per sé. Scendere dalla croce voleva dire scegliere un facile trionfo effimero e personale, ma non salvare l'uomo, inchiodando il peccato sulla croce, come dice S. Paolo. Questi infatti non voleva conoscere altro che Cristo e Cristo crocifisso, perché è il Salvatore dell'uomo. Attraverso la sua morte in croce Gesù ci ha salvati. Non è venuto a portare dei regalini, ma la Vita, attraverso il dono della sua vita al Padre, fonte di ogni vita. Il Papa sottolinea che sarebbe stato per accontentare la gente: il plauso è una tentazione, perché ci dà l'impressione di essere dalla parte della ragione. Per noi che istintivamente guardiamo i numeri, il successo, la folla, il numero di vocazioni, quanta gente va in chiesa, eccetera, sono cose rassicuranti. Chi ci dice che la Chiesa è in crisi perché ci sono meno preti e seminaristi, meno gente che va in chiesa, sempre meno gente che si proclama cristiana? La Chiesa non è viva e fiorente per il numero dei bigotti, ma per quello dei martiri, grazie a coloro che testimoniano con coraggio e fedeltà la loro fede. Oggi siamo spronati non solo a pregare per i nostri fratelli che ormai quotidianamente sono martirizzati sotto i nostri occhi. Il Golgotha non è più su un montarozzo alle porte di Gerusalemme o nel Colosseo dove si assiepava una folla impazzita dalla sete di sangue: oggi sono i media che ci presentano il Cristo crocifisso nei suoi fedeli. Oggi il martirio di sangue non è più, neanche per il nostro mondo, una cosa astratta e lontana, ma qualcosa che può diventare ben reale. Ma anche il martirio della fedeltà a Cristo nel nostro quotidiano attuale è diventato più impegnativo; siamo molto meno aiutati di una volta ad essere persone evangeliche; e questo è un bene. Il sangue dei martiri che bagna questo mondo distratto è ancora seme di cristiani veri, è ancora una vocazione a non scendere dalla croce. La tentazione è il campo di battaglia dei “soldati di Cristo”, come si diceva una volta e lo Spirito santo che abbiamo ricevuto ci è dato per questa buona battaglia, come la chiama S. Paolo.

 

La quinta tentazione che può assalirci se vogliamo essere davvero Chiesa, è: “La tentazione di trascurare il "depositum fidei", considerandosi non custodi ma proprietari e padroni o, dall'altra parte, la tentazione di trascurare la realtà utilizzando una lingua minuziosa e un linguaggio di levigatura per dire tante cose e non dire niente! Li chiamavano "bizantinismi", credo, queste cose...”. Nessuno di noi è proprietario del deposito della fede custodito gelosamente e fedelmente nella Chiesa, grazie alla presenza dello Spirito santo. Oggi, in un'epoca della religiosità “fai da te”, spesso ci permettiamo di potare o accrescere il dato di fede, inserendo idee che circolano e togliendo ciò che ci fa scomodo. Penso, per esempio, al fatto della reincarnazione a cui tanti si attaccano e che è qualcosa di opposto alla nostra fede nella Risurrezione, o a un serpeggiante neo-arianesimo che “aggiusta” il mistero della Trinità a logiche razionali abolendo di fatto la divinità di Cristo. Non siamo padroni del contenuto della fede: questa ci è stata data come un dono, che supera, anche se la nutre, la nostra intelligenza, dagli Apostoli, dagli Evangelisti, dai martiri e dai Padri, e difronte a Dio siamo chiamati ad essere adoratori in spirito e verità. Mi sembra che oggi, nella nostra cultura, lo studio e l'approfondimento della fede è un dovere. Non bastano più le grandi vetrate che facevano meditare sulla Rivelazione, né le processioni con canti pieni di pietà. La cultura odierna ci chiede di rendere salda la nostra fede con l'intelligenza, con la riflessione, con quella forma grandissima di obbedienza che è il lasciarsi insegnare, l'interrogare e rimanere discepoli. Sappiate rendere ragione della vostra speranza, dice S. Pietro; la speranza è saldezza della fede e sorgente di carità.

Di fronte a questa tentazione il Papa mette quella di lasciarsi andare a speculazioni e argomentazioni che non ricevono “la realtà”, come la Parola di Dio, la bimillenaria riflessione dei credenti e lo sviluppo del dato dogmatico, il frutto della preghiera dei mistici e dei santi, ma che cercano argomenti e sofismi per piegare la fede a ciò che hanno voglia di far credere per mettersi in mostra, o per il proprio comodo. Il prurito di novità, come lo chiama S. Paolo. C'è una grossa responsabilità nel lasciarsi andare a ipotesi e teorie che non si ancorano alla tradizione e al deposito della fede. Ogni ricerca è buona e legittima, a patto che si mantenga nell'onestà che riceve e non inventa la verità.

La grandezza del cristiano è questa fedeltà, non mummificata, alla tradizione, che una volta ricevuta cresce con colui che la custodisce, come la Parola di Dio cresce con colui che la legge – come dice Gregorio Magno.

 

Queste sono le cinque tentazioni da cui il Papa ci mette in guardia. Come dice lui stesso: “le tentazioni non ci devono né spaventare né sconcertare e nemmeno scoraggiare, perché nessun discepolo è più grande del suo maestro; quindi se Gesù è stato tentato - e addirittura chiamato Beelzebul - i suoi discepoli non devono attendersi un trattamento migliore. Sulla terra le tentazioni sono per una crescita e non per la caduta. Nella storia della Chiesa gli errori, le eresie, sono stati necessari perché il popolo cristiano si fermasse a riflettere sulla grandezza e sulla profondità dell'opera di Dio per l'uomo, dalla creazione alla Redenzione, dalla Salvezza alla santificazione del popolo credente per opera dello Spirito santo, dal cammino degli evangelisti alla carità che deve essere presente dovunque è un cristiano.

Noi siamo figli della Chiesa, non solo discepoli; a noi spetta di continuare nel pezzetto di storia che ci è dato di vivere, la “buona battaglia”, come Paolo afferma di aver fatto. E le tentazioni ci spronano a scegliere sempre meglio il campo in cui scendere: quello del Signore Gesù.