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I monaci si prevengano nello stimarsi a vicenda. RB 72,4

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Quaresima 2015 - Letture per la III Settimana

26/03/2015

Dall’ “Introduzione alla vita devota” di S. Francesco di Sales
(Parte III°, cap. I)
Come la regina delle api non esce mai senza essere circondata da tutto il suo piccolo popolo, così la carità non entra mai in un cuore senza condurre al suo seguito tutte le altre virtù. Come un buon capitano le mantiene tutte in esercizio e le impiega in vari compiti, come soldati: chi per un servizio, chi per un altro; chi in un modo, chi in un altro; chi prima e chi dopo; chi in questo luogo chi in quell’altro. Il giusto è come un albero piantato lungo un corso d’acqua che porta i frutti nella sua stagione. Quando la carità entra in un’anima, produce in essa frutti di virtù, ciascuno a suo tempo.
La musica briosa, tanto gradevole in sé, può essere fuori luogo in un lutto. Sono molti ad avere il difetto che ora ti dico: siccome si sono impegnati in una determinata virtù, si intestardiscono a volerla praticare in tutte le circostanze, e vogliono o piangere senza interruzione o ridere senza fine; proprio come certi antichi filosofi. Anzi, fanno di peggio: trovano da ridire e coprono di biasimo quelli che non li seguono nell’esercizio delle “loro” virtù. L’Apostolo dice che bisogna rallegrarsi con quelli che sono contenti e piangere con quelli che sono afflitti; dice anche che la carità è paziente e benevola, aperta e prudente, accondiscendente.
Ci sono, a dire il vero, delle virtù che hanno un impiego quasi universale, per cui, non soltanto non devono essere praticate separatamente, ma anzi devono arricchire delle loro qualità gli atti di tutte le altre virtù. Per esempio, le occasioni di praticare la forza, la magnanimità, la munificenza, non sono molto frequenti; altre virtù invece, come la dolcezza, la temperanza, l’onestà e l’umiltà devono dare colore e splendore agli atti di tutte le altre virtù… Nell’esercizio delle virtù dobbiamo dare la precedenza a quelle più utili al compimento del nostro dovere, non a quelle che ci piacciono di più. Tra le virtù che non riguardano in modo specifico il nostro stato, dobbiamo dare la preferenza alle migliori e non alle più appariscenti. Alla vista, le comete sembrano più grandi delle stelle e ai nostri occhi hanno una dimensione maggiore, e invece non sono nemmeno paragonabili alle stelle, né per grandezza, né per luminosità, ci sembrano più grandi solo perché sono più vicine a noi e composte di materiale più grossolano di quello delle stelle. Lo stesso avviene per certe virtù che, per il fatto che sono più vicine a noi, sono sensibili e direi quasi palpabili, il popolino le stima molto e le preferisce. Per questo rimane più colpito dall’elemosina materiale che da quella spirituale; antepone il cilicio, il digiuno, la nudità, la disciplina e le mortificazioni del corpo alla dolcezza, alla bontà, alla modestia e altre mortificazioni del cuore: se vogliamo essere onesti, queste ultime sono di molto migliori. Tu, Filotea, devi scegliere le virtù più consistenti, non quelle che godono di maggior stima; le più efficaci, non le più appariscenti; le migliori, non le più onorate.
Tra i Servitori di Dio c’è chi si impegna nel servizio dei malati, chi ad aiutare i poveri, chi a radunare le anime perdute o smarrite, chi a preparare le chiese e ad ornare gli altari, chi a procurare la pace e la concordia tra gli uomini. In ciò imitano i ricamatori, i quali, su fondi diversi, dispongono in studiata varietà le sete, l’oro, l’argento, per formare fiori di ogni specie… Tale devozione serve loro da fondo per il ricamo spirituale, sul quale poi impostano le variazioni di tutte le altre virtù; in tal modo mantengono i loro atti e i loro affetti uniti e ordinati proprio in forza del rapporto in cui mantengono le singole virtù con la principale. Per tale motivo il loro spirito appare nel suo bel vestito di broccato d’oro ricamato e trapunto di vari motivi all’ago.


Dall’ “Introduzione alla vita devota” di S. Francesco di Sales
(Parte III°, capp. I-II)
Quando siamo combattuti da qualche vizio, abbracciamo la virtù contraria, sempre che siamo in condizione di farlo, riconducendo le altre a quella. Se sono combattuto dall’orgoglio e dalla collera, devo assolutamente chinarmi e piegarmi all’umiltà e alla dolcezza; per riuscirvi, ricorrerò all’orazione, ai Sacramenti, alla prudenza, alla costanza, alla sobrietà. Prendo il paragone del cinghiale, il quale, per rendere aguzze le zanne di difesa le sfrega e le appuntisce con l’aiuto degli altri denti, il che fa sì che tutti ne risultino affilati e taglienti. Allo stesso modo, l’uomo virtuoso, che ha iniziato l’opera della perfezione, deve limare e affilare quella virtù della quale sente maggiormente il bisogno per la propria difesa, e questo per mezzo dell’esercizio delle altre virtù, che, a loro volta, mentre affilano quella, ne traggono vantaggio, migliorano e risultano meno ruvide…
Secondo quanto dice S. Gregorio, può capitare che, per un solo atto perfetto di una virtù, qualcuno raggiunga l’apice di tutte le virtù. Come esempio porta Raab che, per aver praticato in modo perfetto l’ospitalità, giunse a somma gloria. Ciò si deve intendere solo per i casi in cui l’atto è stato veramente perfetto, e animato da un grande fervore di carità…
Ci sono alcune cose che molti considerano virtù, e invece non lo sono affatto! Bisogna che te ne parli in po’. Sono le estasi, i rapimenti, l’insensibilità, l’impassibilità, l’unione deificante, le elevazioni, le trasformazioni e simili perfezioni su cui si dilungano alcuni libri, che promettono l’elevazione dell’anima fino alla contemplazione puramente intellettuale, all’adesione essenziale dello spirito e alla vita superiore.
Vedi, Filotea, queste perfezioni non sono virtù, sono piuttosto ricompense che Dio concede come premio alle virtù o, meglio ancora, saggi della felicità della vita futura, che, qualche volta, il Signore fa intravedere agli uomini per far loro desiderare il tutto lassù in paradiso. Questa non è una ragione per esigere tali grazie, anche perché non sono in nessun modo necessarie per servire e amare Dio, che deve essere la nostra unica aspirazione. Non sono grazie che possono essere conquistate con lavoro e impegno perché, più che di azioni si tratta di passioni, che siamo in grado di ricevere, ma non di procurare. Se poi Dio ha deciso di innalzarci fino a quelle perfezioni angeliche, sapremo essere anche dei buoni angeli.  In attesa, con molta semplicità, umiltà e devozione, esercitiamoci alle piccole virtù, messe da Nostro Signore alla portata del nostro impegno e del nostro lavoro: la pazienza, la bontà, la mortificazione del cuore, l’umiltà, l’obbedienza, la povertà, la castità, la dolcezza nei confronti del prossimo, la sopportazione delle sue imperfezioni, la diligenza e il fervore delle cose sante.  Lasciamo volentieri le altezze alle anime grandi: non siamo capaci di un ruolo così elevato nel servizio di Dio. Saremo già contenti di poterlo servire in cucina o come fornai, di essere suoi servi, suoi facchini, magari suoi camerieri; è Lui soltanto che può decidere di chiamarci a far parte degli intimi e del consiglio privato. È così, Filotea. Perché questo Re di gloria non dà ai suoi servi le ricompense secondo il livello dei compiti assegnati, ma secondo l’amore e l’umiltà che hanno messo nell’esercitarli.
Saul cercava le asine di suo padre e trovò il regno di Israele; Rebecca abbeverò i cammelli di Abramo e divenne sposa del figlio; Ruth, dopo aver spigolato dietro ai mietitori di Booz, si coricò ai suoi piedi, ma egli la volle al suo fianco e divenne sua sposa. La pretesa di cose straordinarie così alte ed elevate è facilmente occasione di illusioni, inganni, e falsità. Capita qualche volta che coloro i quali pensano di essere angeli non siano nemmeno uomini come si deve. In loro, alla prova dei fatti, trovi soltanto sfoggio di parole e termini magniloquenti, ma vuoto di sentimenti e assenze di opere.


Dall’ “Introduzione alla vita devota” di S. Francesco di Sales
(Parte III°, cap. III)
“Voi avete bisogno di pazienza, affinché, facendo la volontà di Dio, meritiate di conseguire la sua promessa”, dice l’Apostolo. Il Salvatore aveva detto: “Con la pazienza conquisterete la padronanza delle vostre anime”.
Dominare la propria anima è la massima aspirazione dell’uomo, e il dominio dell’anima è commisurato al livello della pazienza! Ricordati spesso che Nostro Signore ci ha salvato soffrendo con costanza; è nello stesso modo che noi potremo operare la nostra salvezza, sopportando la sofferenza, le afflizioni, le ingiurie, le contraddizioni, i dispiaceri con la maggior dolcezza che ci sarà possibile.
Non limitare la tua pazienza a un genere determinato di ingiurie o di afflizioni, ma estendile a tutte quelle che il Signore ti manderà o permetterà che tu incontri. Alcuni vogliono sopportare soltanto le tribolazioni che procurano onore, come per esempio essere feriti in guerra… Io dico che costoro non amano la tribolazione, ma soltanto l’onore che ne deriva. Il vero paziente, ossia chi vuole servire Dio, sopporta con animo uguale le tribolazioni unite al disonore e quelle che danno onore. Se ci disprezzano, ci attaccano e ci accusano i cattivi, per un uomo di coraggio è una vera gioia.  Ma se quelli che ci attaccano, ci accusano e ci maltrattano, sono gente per bene, amici, i genitori, altri parenti, allora sì che va bene!... 
Lamentati meno che puoi per i torti che ricevi: è un fatto certo che chi abitualmente si lamenta finisce per peccare. È colpa dell’amor proprio che ingigantisce per professione i torti subiti: ma quello che più ti raccomando e di non andare a lamentarti con persone facili all’indignazione e a pensare male... Ci sono poi alcuni che quando sono ammalati, afflitti o offesi da qualcuno, stanno bene attenti a non lamentarsi e a dimostrare troppa permalosità. A loro parere, ed è vero, ciò darebbe prova di grande debolezza e di mancanza di generosità; ma poi, nel fondo di loro stessi, desiderano intensamente che qualcuno li compatisca e si danno da fare con mille arti a tale scopo. Vogliono che tutti sappiano che loro sono afflitti, ma anche pazienti e coraggiosi! Ti pare che quella sia pazienza? Chiamala come vuoi, ma quella è soltanto una finta pazienza. In fondo è soltanto un’abile e studiata ambizione, è vanità: ne ricavano gloria, ma non davanti a Dio!
Il vero paziente non si lamenta del male e non desidera essere compatito; ne parla con naturalezza, sincerità e semplicità, senza lamenti, senza rimpianti, senza esagerazioni. Se lo compatiscono, sopporta con pazienza i compatimenti, a meno che addirittura siano per mali che non ha; in tal caso, con molta umiltà, farà notare che quel male non l’ha e poi si manterrà con animo sereno nella pace tra la verità e la pazienza, ammettendo sì il male, ma senza lamentele…
Nelle contrarietà che ti piomberanno addosso nell’esercizio della devozione, e vedrai che non mancheranno, ricordati della parola di nostro Signore: “La donna quando partorisce prova dolori molto forti, ma tutto dimentica alla vista del bambino, perché ha dato alla luce un uomo”. Nella tua anima hai concepito il figlio più meraviglioso di questo mondo, Gesù Cristo. Prima che sia dato completamente alla luce e generato, può darsi che ti procuri ansia e sofferenza; ma fatti animo perché, passati quei dolori, ti rimarrà la gioia senza fine di aver dato tale uomo al mondo. Per quello che ti riguarda sarà generato totalmente solo quando l’avrai formato completamente nel tuo cuore e nelle tue azioni con l’imitazione della sua vita… Guarda spesso con gli occhi interiori Gesù Cristo crocifisso, spogliato, bestemmiato, calunniato, abbandonato, oppresso da ogni sorta di mali, tristezze e ansie, e pensa che tutte le tue sofferenze non sono in alcun modo paragonabili alle sue, né per intensità, né per numero; e pensa che mai riuscirai a soffrire per Lui quello che Egli ha sofferto per te.


Dall’ “Introduzione alla vita devota” di S. Francesco di Sales
(Parte III°, cap. IV-V)
Disse il profeta Eliseo ad una povera vedova: “Prendi tutti i vasi vuoti che hai e riempili d’olio”. Per ricevere la grazia di Dio nei nostri cuori, dobbiamo vuotarli di noi stessi. Il gheppio, stridendo e fissando gli uccelli da preda, li mette in fuga per una forza misteriosa; per questo è il preferito delle colombe, che vicine a lui si sentono sicure. Allo stesso modo l’umiltà respinge Satana e conserva in noi le grazie e i doni dello Spirito Santo. È per questo che i Santi, e in modo particolare il Re dei Santi e sua Madre, onorano e amano l’umiltà più di tutte le altre virtù morali…
Direi proprio che niente può umiliarci di fronte alla misericordia di Dio quanto i suoi benefici, e niente può umiliarci di fronte alla sua giustizia quanto le nostre offese. Pensiamo a quello che Egli ha fatto per noi e a quello che noi abbiamo fatto contro di Lui; e, come dobbiamo pensare ai nostri peccati più piccoli, dobbiamo pensare alle sue grazie più piccole. Non dobbiamo temere che il conoscere i doni che ha posto in noi ci gonfi; è sufficiente che abbiamo sempre presente questa verità: ciò che di buono c’è in noi non viene da noi. Rifletti: i muli, animali pesanti e maleodoranti, non cessano di essere tali solo perché sono carichi di mobili preziosi e profumati appartenenti al principe. Che cosa abbiamo di buono che non ci sia stato dato?
E se ci è stato dato, perché insuperbircene? È proprio il contrario: la seria riflessione sui doni ricevuti ci rende umili, la conoscenza genera la riconoscenza… Spesso diciamo che non siamo nulla, anzi che siamo la miseria in persona, la spazzatura del mondo; ma resteremmo molto male se ci prendessero alla lettera e se ci considerassero in pubblico secondo quanto diciamo. È proprio il contrario: fingiamo di fuggire e di nasconderci solo perché ci inseguano e ci cerchino; dimostriamo di voler essere gli ultimi, seduti proprio all’ultimo angolino della tavola, ma soltanto per passare con grande onore a capotavola. L’umiltà vera non finge di essere umile, a fatica dice parole di umiltà, perché è suo intendimento non solo nascondere le altre virtù, ma soprattutto vorrebbe riuscire a nascondere se stessa. Se le fosse lecito mentire, o addirittura scandalizzare il prossimo, prenderebbe atteggiamenti arroganti e superbi, per potercisi nascondere e vivere completamente ignorata e nascosta.
Eccoti il mio parere, Filotea: o evitiamo di dire parole di umiltà, oppure diciamole con profonda convinzione, profondamente rispondente alle parole. Non abbassiamo gli occhi senza umiliare il cuore, non giochiamo a fare gli ultimi se non intendiamo esserlo per davvero… Molti  rifuggono dal mettere i loro talenti al servizio di Dio e del prossimo perché, dicono, conoscono la loro debolezza e potrebbero inorgoglirsi vedendosi strumenti di qualche cosa di buono: temono di consumarsi facendo luce agli altri!  Queste preoccupazioni sono soltanto inganni, una sorta di umiltà non soltanto falsa, ma perversa, per mezzo della quale, con molta sottigliezza e senza dirlo, si critica l’operato di Dio, o almeno si tenta di coprire di umiltà l’orgoglio della propria opinione, della propria indole, della propria pigrizia… Dobbiamo saper ricevere i doni che Dio ci manda: l’umiltà è obbedire e seguire da vicino i suoi disegni. Dio vuole che noi siamo perfetti e unendoci a Lui esige che lo seguiamo da vicino il più possibile. Il superbo, che confida solo in se stesso, ha infinite ragioni per non porre mano ad alcuna iniziativa. Ma l’umile trova tutto il coraggio nella sua incapacità: più si sente debole e più diventa intraprendente, perché tutta la sua fiducia è riposta in Dio, che si compiace di manifestare la sua potenza nella nostra debolezza e far trionfare la sua misericordia basandola sulla nostra miseria.