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Quaresima 2015 - Letture per la IV Settimana

26/03/2015

Dall’ “Introduzione alla vita devota” di S. Francesco di Sales
(Parte III°, cap. VIII-IX)
Il sacro crisma che, per tradizione apostolica, la Chiesa usa nelle confermazioni e nelle benedizioni, è composto di olio di oliva e balsamo: questi due elementi ricordano, tra l’altro, le due meravigliose virtù che risplendevano in modo particolare nella persona di Nostro Signore. Egli ce le ha raccomandate personalmente, quasi che, per mezzo di esse soltanto, il nostro cuore possa essere consacrato al suo servizio e trascinato ad imitarlo: “Imparate da me - dice - che sono mite e umile di cuore”. L’umiltà ci fa crescere in perfezione davanti a Dio e la dolcezza davanti al prossimo. Il balsamo che, come ho detto sopra, scende sempre a fondo, raffigura l’umiltà, e l’olio di oliva, che rimane sempre in superficie, raffigura la dolcezza e la bonomia, che superano tutte le virtù ed eccellono quali splendidi fiori della carità che, stando a s. Bernardo, raggiunge la perfezione quando non è soltanto paziente, ma anche dolce e affabile...
Uno dei metodi più efficaci per conseguire la dolcezza è quello di esercitarla verso se stessi, non indispettendosi mai contro di sé e contro le proprie imperfezioni. È vero che la ragione richiede che quando commettiamo errori ne siamo dispiaciuti e rammaricati, ma non che ne proviamo un dispiacere distruttivo e disperato, carico di dispetto e di collera. E in questo molti sbagliano grossolanamente perché si mettono in collera, poi si infuriano perché si sono infuriati, diventano tristi perché si sono rattristati, e si indispettiscono perché si sono indispettiti… C’è di più: queste collere e amarezze contro di se stessi portano all’orgoglio e sono soltanto espressione di amor proprio, che si tormenta e si inquieta per le imperfezioni. Il dispiacere che dobbiamo avere per le nostre mancanze deve essere sereno, ponderato e fermo. Noi puniamo molto meglio noi stessi se usiamo correzioni serene e ponderate e non aspre, precipitose e colleriche; tanto più che queste correzioni fatte con irruenza non sono proporzionate alle nostre colpe ma alle nostre inclinazioni.
Per esempio, chi è attaccato alla castità, andrà su tutte le furie e sarà inconsolabilmente amareggiato per la minima colpa contro di essa, e poi farà le matte risate per una gravissima maldicenza commessa. Per contro, chi odia la maldicenza, andrà in crisi per una leggera mormorazione e non darà peso ad una grave mancanza contro la castità; e così via. E questo capita perché la coscienza di costoro non giudica secondo ragione, ma secondo passione. Devi credermi, Filotea: le osservazioni di un papà, se fatte con dolcezza, hanno molta più efficacia per correggere il figlio, della collera. La stessa cosa avviene quando il nostro cuore è caduto in qualche colpa: se lo riprendiamo con osservazioni dolci e serene e gli dimostriamo più compassione che passione, lo incoraggiamo a correggersi, il pentimento sarà molto più profondo… Rialza dunque dolcemente il tuo cuore quando cade, umiliati grandemente davanti a Dio alla conoscenza della tua miseria; ma non meravigliarti della tua caduta: è naturale che l’infermità sia malata, che la debolezza sia debole, e la miseria sia misera. Disprezza con tutte le forze l’offesa che Dio ha ricevuto da te e, con coraggio e fiducia nella sua misericordia, rimettiti nel cammino della virtù, che avevi abbandonato.


Dall’ “Introduzione alla vita devota” di S. Francesco di Sales
(Parte III°, cap. XXVIII)
“Non giudicare e non sarai giudicato, non condannare e non sarai condannato” dice il Salvatore delle nostre anime. Dice l’apostolo: “Non giudicare prima del tempo, ossia fino a che non venga il Signore che svelerà il segreto nascosto nelle tenebre, e manifesterà i pensieri dei cuori”. I giudizi temerari sono severamente riprovati da Dio! I giudizi emessi dai figli degli uomini sono temerari perché gli uomini non sono autorizzati ad emettere giudizi gli uni sugli altri; ciò facendo usurpano l’ufficio che Nostro Signore si è riservato. In più, sono temerari perché la principale malizia del peccato dipende dall’intenzione e dal disegno del cuore, che è per noi il segreto delle tenebre; sono temerari perché ciascuno è sufficientemente occupato a giudicare se stesso, senza mettersi a giudicare anche il prossimo.
Per non correre il rischio di essere giudicati, è assolutamente necessario evitare di giudicare gli altri: fermiamoci invece a giudicare noi stessi. Nostro Signore ci ha proibito la prima cosa e l’apostolo ci comanda la seconda quando dice: “Se noi giudichiamo noi stessi, non verremo giudicati”. Noi facciamo invece esattamente il contrario: non manchiamo mai di fare quello che ci era stato proibito, sentenziando a dritta e a manca sul prossimo; giudicare noi stessi, che sarebbe poi quello che ci è stato comandato, chi si sogna di farlo? Bisogna correre ai ripari partendo dalle cause dei giudizi temerari. Ci sono dei cuori acidi, amari e aspri per natura, che rendono acido e amaro tutto quello che ricevono. Costoro, secondo il detto del Profeta, mutano il giudizio in assenzio, perché non sanno giudicare il prossimo senza rigore e asprezza. Simili persone hanno tanto bisogno di cadere tra le mani di un consumato medico spirituale, perché, dato che l’amarezza di cuore è loro connaturale, vincerla è difficile. Benché per sé non sia peccato, anzi soltanto un’imperfezione, tuttavia è da ritenersi pericolosa, perché introduce nell’anima, e ve li fissa, il giudizio temerario e la maldicenza. Altri fanno giudizi temerari, non per acidità, ma per orgoglio: pensano che nella misura in cui abbassano l’onore degli altri, alzano il proprio! Sono spiriti arroganti e presuntuosi, pieni di ammirazione per se stessi, che si collocano così in alto nella propria stima, da vedere tutto il resto come cose piccole e basse: “Non sono come gli altri uomini”, diceva quel Fariseo. In alcuni questo orgoglio non è tanto evidente e si manifesta soltanto in un certo compiacimento nel considerare i difetti degli altri per assaporare con maggior piacere il bene contrario di cui si sentono dotati. Questo compiacimento è così segreto e impercettibile che, se non si è forniti di una buona vista, non lo si può scoprire; e persino quelli che ne sono affetti, non se ne accorgono se non si fa loro notare.
Altri poi, per lusingarsi e trovare scuse nei confronti di se stessi, o per attenuare i rimorsi delle loro coscienze, pensano molto volentieri che gli altri siano contagiati dal vizio al quale si sono dati, o da qualche altro equivalente; pensano che il fatto di trovarsi ad essere in molti colpevoli dello stesso crimine, ne riduca la gravità.


Dall’ “Introduzione alla vita devota” di S. Francesco di Sales
(Parte III°, cap. XXVIII)
Bevi più che puoi il sacro vino della carità, ti libererai da quegli umori perversi che ti fanno dare giudizi temerari. La carità teme l’incontro con il male, tanto meno lo cerca; quando ci si imbatte volge altrove lo sguardo e fa finta di niente, anzi chiude gli occhi prima di vederlo, alle prime avvisaglie e finisce con il credere, con santa semplicità, che quello non era male, ma soltanto un’ombra o un fantasma del male. Se poi l’evidenza la costringe ad ammettere che è proprio male, se ne allontana immediatamente e cerca di dimenticarne l’aspetto…
Per tutti i mali il grande rimedio è la carità, in modo particolare per questo. Tutto sembra giallo agli occhi degli ammalati gravi di itterizia; si dice che per guarirli da questo male bisogna obbligarli a mettere un po’ d’erba detta celidonia sotto la pianta dei piedi.
Il peccato del giudizio temerario è un’itterizia spirituale, che, agli occhi di coloro che ne sono affetti, trasforma tutte le cose in cattive; chi vuole guarirne, non deve curare gli occhi, ossia l’intelletto, ma gli affetti, che sono i piedi dell’anima: se i tuoi affetti sono dolci, se sono caritatevoli, anche i tuoi giudizi lo saranno.
Isacco aveva detto che Rebecca era sua sorella, Abimelech vide che gioiva con lei, ossia che l’accarezzava con tenerezza, e subito concluse che era sua moglie: un occhio maligno avrebbe invece pensato che era la sua amante, o caso mai, se realmente era sua sorella, che erano due incestuosi. Abimelech segue l’interpretazione più benevola del fatto. Bisogna agire sempre in questo modo, Filotea, interpretando sempre in favore del prossimo; e se un’azione avesse cento aspetti, tu ferma sempre la tua attenzione al più bello. La Madonna era incinta: S. Giuseppe lo vedeva bene. D’altra parte la vedeva tutta santa, tutta pura, tutta angelica, non poteva credere che fosse rimasta incinta mancando al suo onore. Decide allora di abbandonarla, lasciando a Dio il giudizio. Benché ci fossero tutte le circostanze evidenti per farsi una cattiva opinione di quella Vergine, egli non volle giudicarla. Perché? Perché era giusto, dice lo Spirito di Dio. L’uomo giusto quando non può scusare né il fatto né l’intenzione, di chi sa per altre vie essere uomo per bene, rifiuta di giudicare, se lo toglie dallo spirito, lascia a Dio solo la sentenza…
E per finire ti dico che chi ha molta cura della propria coscienza non è quasi mai portato ai giudizi temerari. Come le api, vedendo la nebbia o il tempo nuvoloso si rifugiano nelle loro arnie a sistemare il miele, allo stesso modo i pensieri delle anime buone non si posano su oggetti confusi, né sulle azioni poco chiare del prossimo. Anzi, per evitare il pericolo, si raccolgono all’interno del loro cuore per curare i buoni propositi del proprio emendamento. Soltanto un’anima insulsa può perdere tempo ad esaminare la vita degli altri.
Faccio eccezione per quelli che hanno la responsabilità di altri, sia in famiglia che nella società: per essi gran parte della coscienza sta nel guardare e vegliare su quella degli altri. Adempiano al loro dovere con amore; al di fuori di ciò, si comportino come tutti.


Dall’ “Introduzione alla vita devota” di S. Francesco di Sales
(Parte IV°, cap. II-III)
Cara Filotea, ora ti accorgi che la montagna della perfezione cristiana è terribilmente alta: dirai, Dio mio, e come ci arriverò? Coraggio, quando le larve delle api cominciano a prendere forma si chiamano ninfe, non sanno ancora volare sui fiori, né sui monti, né sulle colline, per raccogliere miele, ma piano piano, nutrendosi del miele preparato dalle api anziane, quelle piccole ninfe mettono le ali e si fortificano, e cosí in seguito potranno volare ovunque, alla ricerca del miele. È vero, noi siamo ancora piccole larve nella devozione, non riusciamo a salire secondo il nostro progetto, che è addirittura quello di raggiungere la vetta della perfezione cristiana. Ma, piano piano, prendiamo forma con i nostri desideri e i nostri propositi, cominciamo a mettere le ali, abbiamo motivo di sperare che un giorno saremo api spirituali e voleremo. Nel frattempo viviamo del miele degli insegnamenti così ricchi che i devoti prima di noi ci hanno lasciato, e preghiamo Iddio che ci arricchisca di penne come di colomba, per poter volare non soltanto nel tempo della vita presente, ma anche raggiungere il riposo nell’eternità della futura…
Devi essere molto coraggiosa, Filotea, quando sei afflitta da tentazioni, e non sentirti mai vinta finché ti disgustano. Tieni sempre presente la differenza che c’è tra sentire e acconsentire: è possibile sentirle pur continuando a provarne dispiacere, ma invece non è possibile acconsentire senza provare piacere in esse; il motivo è presto detto: il piacere è il gradino al consenso. I nostri nemici possono presentarci tutti gli inviti e le esche che vogliono, possono piazzarsi sulla soglia della porta dei nostro cuore cercando di entrare, possono farci tutte le promesse immaginabili: finché da parte nostra saremo decisi a rifiutare, non e possibile che offendiamo Dio… Quanto alla dilettazione che può seguire la tentazione, siccome abbiamo due parti nell’anima, una inferiore e l’altra superiore, e visto anche che l’inferiore non sempre segue la superiore, anzi se ne mantiene indipendente, può capitare spesso che la parte inferiore si compiaccia nella tentazione, senza il consenso, anzi contro il gradimento della parte superiore. E’ questa la lotta e la guerra descritta da S. Paolo, quando dice che la sua carne brama contro il suo spirito, che c’è una legge delle membra e una dello spirito, e altre cose simili.
Hai mai visto, Filotea, un grande bracere con il fuoco coperto sotto la cenere? quando dieci, dodici ore dopo vieni per cercare il fuoco, ne trovi soltanto un po’ nel mezzo, e si fatica a trovarlo, tuttavia c’era, visto che si può trovare! E con quello si possono riaccendere tutti gli altri carboni spenti. La stessa cosa avviene della carità, che è la nostra vita spirituale, soffocata da grandi e violente tentazioni: la tentazione provoca alla dilettazione la parte inferiore e può dare l’impressione di coprire tutta l’anima di cenere e ridurre l’amore di Dio allo stremo, perché non si trova più da nessuna parte, meno che al centro del cuore, nascosto in fondo allo spirito, sembra proprio che non ci sia più e si fatica a trovarlo. Eppure c’è e c’è sul serio, perché anche se tutto è torbido nella nostra anima e nel nostro corpo, noi abbiamo fatto il proposito di non acconsentire al peccato e nemmeno alla tentazione.


Dall’ “Introduzione alla vita devota” di S. Francesco di Sales
(Parte IV°, cap. VIII)
Appena avverti in te qualche tentazione, fa come i bambini quando scorgono il lupo o l’orso in campagna: si precipitano immediatamente tra le braccia del papà o della mamma e se non possono fare altro, strillano chiamandoli in aiuto. Similmente ricorri a Dio, chiedendogli la sua misericordia e il suo aiuto. E’ il rimedio che ci insegna Nostro Signore: “Pregate per non entrare in tentazione”. Se nonostante tutto, la tentazione insiste e si accresce, in ispirito corri ad abbracciare la santa Croce, come se tu vedessi realmente davanti a te Gesù crocifisso. Finché la tentazione rimarrà, tu insisti nel protestare che mai cederai. Mentre fai queste proteste e insisti nel negare il tuo consenso, non guardare in faccia la tentazione: guarda soltanto Nostro Signore. Se tu dovessi guardare la tentazione, soprattutto nei momenti di maggiore intensità, il tuo coraggio potrebbe anche vacillare. Distrai il tuo spirito con qualche occupazione buona e lodevole, tali occupazioni entreranno nel tuo cuore, lo occuperanno e così elimineranno le perverse suggestioni del maligno… Non discutere con il nemico e non dargli una sola parola di risposta, tranne quella con la quale lo fece stare zitto Nostro Signore: Va indietro, Satana, tu adorerai il Signore tuo Dio e solo a Lui servirai…
È fuor di dubbio che bisogna combattere le grandi tentazioni con un coraggio travolgente, e la vittoria che riporteremo ci sarà di molto aiuto, tuttavia avviene che si tragga un profitto ancora maggiore nel combattere le piccole. Il motivo è intuibile: le prime sono grandi, le altre sono molte; di modo che si può dire che la vittoria su queste equivale alla vittoria su quelle. I lupi e gli orsi sono fuor di dubbio più pericolosi delle mosche, ma, quanto a farci esercitare la pazienza, le mosche con la loro importunità e la noia che ci arrecano, la vincono di molto! È facile non essere assassini, ma molto difficile evitare le piccole collere che trovano continuamente occasioni. E’ abbastanza facile per un uomo e una donna non cadere in adulterio, ma non altrettanto facile impedirsi le occhiate, innamorarsi o fare innamorare, procurare emozioni e piccoli piaceri, dire e ascoltare parole di civetteria… E’ facile non rubare i beni altrui, non altrettanto non corteggiarli e non desiderarli; è molto facile non portare falsa testimonianza in tribunale, non altrettanto non mentire in conversazione. Molto facile non ubriacarsi, non altrettanto mantenersi sobri; molto facile non desiderare la morte altrui, non altrettanto non desiderargli qualche accidente; molto facile non disonorare, non altrettanto non nutrire sentimenti di disprezzo.
Si può concludere che le piccole tentazioni di collera’ di sospetto, di gelosia, di invidia, di antipatia, di stranezza, di vanità, di doppiezza, di affettazione, di astuzia, di pensieri indecenti, sono abituali anche per coloro che sono già più incamminati nella devozione e più risoluti… Disprezza questi piccoli attacchi, non degnarli nemmeno di un pensiero, che volino pure qua e là intorno a te, come le mosche; se poi dovessero pungerti o posarsi un attimo sul tuo cuore, cacciali e basta! Non metterti a combatterli e non rispondere loro, compi atti contrari, quelli che vuoi, ma soprattutto atti di amore a Dio.