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Quaresima 2015 - Letture per la V Settimana

26/03/2015

Dall’ “Introduzione alla vita devota” di S. Francesco di Sales
(Parte IV°, cap. XII)
Dice S. Paolo che la tristezza secondo Dio opera la penitenza per la salvezza, la tristezza del mondo, invece, opera la morte. La tristezza può essere quindi buona o cattiva: dipende dagli effetti che produce in noi. È certo che ne fa più di cattivi che di buoni, perché di fatto i buoni effetti sono soltanto due: la misericordia e la penitenza; quelli cattivi invece sono sei: l’angoscia, la pigrizia, lo sdegno, la gelosia, l’invidia, l’impazienza. Il che ha fatto dire al Saggio: “La tristezza ne uccide molti e non giova a nulla”, infatti contro due soli rigagnoli buoni che zampillano dalla sorgente della tristezza, ce ne sono sei di cattivi!
Il nemico si serve della tristezza per portare le sue tentazioni contro i buoni: da un lato cerca di rendere allegri i peccatori nei loro peccati, e dall’altro cerca di rendere tristi i buoni nelle loro opere buone; e come non gli riuscirebbe di attrarre al male se non presentandolo in modo piacevole, così non potrebbe distogliere dal bene se non facendolo trovare sgradevole. Il maligno gode nella tristezza e nella malinconia, perché lui è, e lo sarà per l’eternità, triste e malinconico, per cui vorrebbe che tutti fossero così! La cattiva tristezza turba l’anima, la mette in agitazione, le dà paure immotivate, genera disgusto per l’orazione, assopisce e opprime il cervello, priva l’anima di consiglio, di proposito, di senno, di coraggio e fiacca le forze. In conclusione, è come un duro inverno che cancella tutta la bellezza della terra e manda in letargo gli animali; infatti la tristezza toglie ogni bellezza all’anima e la rende quasi paralizzata e impotente in tutte le sue facoltà. Filotea, se mai dovesse capitarti di essere afflitta da questa cattiva tristezza, metti in atto i seguenti rimedi. Dice S. Giacomo: Se qualcuno è triste, preghi. La preghiera è il rimedio più efficace perché innalza lo spirito a Dio, nostra unica gioia e consolazione; nella preghiera poi, serviti di affetti e parole interiori ed esteriori, che portano alla fiducia e all’amore di Dio… Combatti con forza la tendenza alla tristezza e anche se hai l’impressione che tutto quello che stai facendo in quel frangente rimanga distante e freddo, triste e fiacco, non rinunciare a farlo. Il nemico, che vuole per mezzo della tristezza far morire le nostre buone opere, vedendo che non sospendiamo di farle, e che compiute con sforzo valgono di più, cesserà di tormentarci. Canta dei canti spirituali: spesso il maligno abbandona il campo di fronte a quest’arma. Un esempio ci viene dallo spirito maligno che assediava e possedeva Saul, la cui violenza era dominata soltanto dalla salmodia. È cosa buona occuparsi in atti esteriori e variarli più che possiamo, per distrarre l’anima dall’oggetto della tristezza, purificare e riscaldare gli spiriti; questo perché la tristezza è una passione fredda e arida… La disciplina moderata è buona contro la tristezza, perché questa mortificazione esteriore volontaria chiama la consolazione interiore e l’anima, provando dolori dal di fuori, si distrae da quelli che l’affliggono di dentro. La frequenza alla Santa Comunione è ottimo rimedio; perché questo pane celeste dà forza al cuore e gioia allo spirito. In conclusione, rimettiti tra le mani di Dio, e preparati a sopportare con pazienza questa fastidiosa tristezza, come giusta punizione per le tue stupide gioie e sii certa che Dio, dopo averti messa alla prova, ti libererà da questo male.


Dall’ “Introduzione alla vita devota” di S. Francesco di Sales
(Parte IV°, cap. XIV)
Quando ti troverai nelle consolazioni, cara Filotea, devi ricordarti il bel tempo, così gradevole, non durerà in eterno; anzi qualche volta ti capiterà di sentirti così vuota e lontana dal sentimento della devozione, che avrai la sensazione che la tua anima sia una terra deserta, senza frutti, arida, senza sentieri e senza piste per camminare verso Dio, senza nemmeno un filo d’acqua della sua grazia per irrigarla. L’aridità è tale che tutto fa temere che l’anima sarà presto ridotta simile a un terreno totalmente incolto e abbandonato. L’anima che si trova in questo stato, sinceramente merita compassione, soprattutto quando la sensazione di aridità è molto profonda; in tal caso l’anima si ciba giorno e notte di lacrime, proprio come Davide, mentre il nemico, per farla disperare, la deride con mille angustie e le chiede: “Poveretta! e dov’è il tuo Dio? In quale via lo troverai? Chi potrà darti la gioia della sua santa grazia?”. Che farai in simili occasioni, Filotea? Guarda da dove viene il male: spesso siamo noi stessi causa delle nostre aridità e sterilità.
Come la madre rifiuta lo zucchero al figlio soggetto ai vermi, così Dio ci priva delle consolazioni quando noi ne ricaviamo vuote emozioni e andiamo soggetti ai vermi della presunzione. Dio mio, hai fatto bene ad umiliarmi! Sì, perché prima che tu mi umiliassi io ti avevo offeso. Quando trascuriamo di raccogliere le dolcezze e le delizie dell’amore di Dio nel tempo opportuno, il Signore le allontana da noi per punire la nostra pigrizia. L’israelita che non raccoglieva la manna di buon mattino, una volta sorto il sole, non gli era più possibile, perché si scioglieva.
A volte ci adagiamo in un letto di soddisfazioni sensuali e di consolazioni caduche, come la Sposa del Cantico dei Cantici. Lo Sposo delle nostre anime bussa alla porta del nostro cuore, ci invita a ricominciare di nuovo i nostri esercizi spirituali, ma noi vogliamo mercanteggiare, perché ci dispiace lasciare quelle gioie, e separarci dalle false soddisfazioni; allora egli passa oltre e ci lascia nella nostra pigrizia. In seguito poi, quando lo cercheremo, faticheremo molto a trovarlo. Ce lo meritiamo, perché siamo stati sleali e infedeli al suo amore e abbiamo rifiutato di viverne l’esperienza per seguire l’amore delle cose del mondo.
Se hai la farina d’Egitto, non puoi avere la manna del cielo! Le api odiano tutti i profumi artificiali, le soavità dello Spirito Santo non possono convivere con le delizie artificiali del mondo. La doppiezza e la finzione nella confessione e nei colloqui spirituali con la propria guida, provoca l’aridità e la sterilità: dopo che hai mentito allo Spirito Santo, perché ti meravigli se ti priva della sua consolazione? Tu non vuoi essere semplice e spontanea come un bambino, e allora non avrai le caramelle destinate al bambino! Ti sei ben ubriacata delle gioie mondane, perché ti meravigli allora se le delizie spirituali ti vengono a nausea? Dice un antico proverbio che le colombe ubriache trovano amare le ciliege. Ha colmato di beni gli affamati, dice la Madonna, e i ricchi li ha lasciati a mani vuote: coloro che sono ricchi di piaceri mondani non possono ricevere quelli spirituali.


Dall’ “Introduzione alla vita devota” di S. Francesco di Sales
(Parte IV°, cap. XIV)
Cara Filotea, se hai conservato bene i frutti delle consolazioni ricevute ne riceverai delle altre, perché a colui che ha sarà dato ancora di più ma a quello che ha perso tutto per propria colpa sarà tolto anche quello che non ha; ossia sarà privato anche delle grazie che gli erano destinate. Osserva come la pioggia dia vita alle piante che hanno ancora del verde, ma a quelle che non ne hanno più, toglie anche la vita che non hanno, perché le fa marcire del tutto.
Per molte di queste cause noi perdiamo le consolazioni devote e cadiamo nell’aridità e sterilità di spirito; esaminiamo la nostra coscienza per vedere se vi scopriamo manchevolezza in questo campo. Nota però, Filotea, che non devi fare questo esame con agitazione e troppo puntiglio, ma dopo aver obiettivamente preso in esame le eventuali colpe a questo proposito, se scopri che la causa dei male è dentro di te, ringrazia Dio, perché il male quando se ne scopre la causa, per metà è già guarito. Se, al contrario, non trovi nulla che, secondo te, possa essere la causa di questa aridità, non impegnarti in un esame più accurato, ma, con tutta semplicità, senza scendere a dettagli, fa quello che ora ti dirò:
Umiliati profondamente davanti a Dio, riconoscendo il tuo nulla e la tua miseria: Che cosa ne è di me quando sono affidata a me stessa? Signore, sono soltanto terra arida, con enormi crepe da tutte le parti, con una grande sete di pioggia dal cielo, che il vento dissipa e riduce in polvere.
Invoca Dio e domandagli la sua gioia: Rendimi, Signore, la gioia della tua salvezza. Padre mio, se è possibile, allontana da me questo calice. Pàrtiti da qui, vento secco, che inaridisci la mia anima; e tu, brezza gentile di consolazione, vieni e soffia nel mio giardino, i tuoi buoni affetti spanderanno soavi profumi. Va dal tuo confessore, aprigli bene il cuore, svelagli tutti i nascondigli della tua anima, accetta i consigli che ti darà, con grande semplicità e umiltà. Dio ama infinitamente l’obbedienza, per cui aggiunge spesso efficacia ai consigli che si ricevono da altri, soprattutto quando si tratta delle guide delle anime, anche se non c’è nessuna esteriorità apparente. Pensa a Naaman: il Signore rese per lui prodigiose le acque del Giordano, nelle quali Eliseo, senza alcuna ragione apparente, gli aveva ordinato di bagnarsi. Ma, dopo tutto, niente è così utile e così fruttuoso, in tali aridità e sterilità, come il non affezionarsi e attaccarsi al desiderio di essere liberati. Non dico che non bisogna, con molta semplicità, aspirare alla liberazione, ma dico che non ci si deve affezionare, anzi bisogna rimettersi con semplicità nelle mani della Provvidenza di Dio, affinché si serva di noi tra le spine e nel deserto, fin che gli piacerà. Diciamo a Dio in tale frangente: Padre, se è possibile, allontana da me questo calice; ma aggiungiamo con grande coraggio: tuttavia sia fatta la tua volontà e non la mia, e fermiamoci lì, con tutta la calma possibile. Dio vedendoci in quella santa indifferenza ci consolerà con molte grazie e favori, come quando vide Abramo deciso a privarsi del suo figlio Isacco. Gli bastò vederlo indifferente nell’accettare, e lo consolò con una visione molto gradita e con dolcissime benedizioni.


Dall’ “Introduzione alla vita devota” di S. Francesco di Sales
(Parte IV°, cap. XIV)
In ogni genere di afflizioni, sia corporali che spirituali, e nella diminuzione, o addirittura sparizione della devozione sensibile, che ci può capitare, dobbiamo dire con tutto il cuore e con profonda sottomissione: “Il Signore mi ha dato delle consolazioni, il Signore me le ha tolte; sia benedetto il suo santo Nome!” Se perseveriamo nell’umiltà, ci colmerà dei suoi deliziosi favori, come fece con Giobbe, che, in tutte le tribolazioni si espresse con queste parole.
Filotea, tra tutte le nostre aridità e sterilità, non perdiamo il coraggio, ma aspettiamo con pazienza, il ritorno delle consolazioni. Continuiamo il nostro abituale modo di vivere, non tralasciamo per questo motivo nessun esercizio di devozione, anzi, se ci è possibile, moltiplichiamo le buone azioni; e se non possiamo presentare allo sposo la marmellata, gli daremo la frutta secca, per lui fa lo stesso, a condizione che il cuore che gliela offre sia decisamente risoluto ad amarlo. Quando la primavera è bella, le api fanno più miele e si occupano meno delle ninfe, perché con il bel tempo si divertono molto a fare la raccolta sui fiori, tanto che dimenticano di occuparsi delle ninfe. Ma quando la primavera è fredda e nuvolosa, si occupano di più delle ninfe e fanno meno miele, perché non potendo uscire per fare la raccolta del polline, occupano il tempo ad accrescere e moltiplicare la loro stirpe. Capita spesso, Filotea, che l’anima, trovandosi in una bella primavera di consolazioni spirituali, si distragga talmente nel desiderio di accumularle e assaporarle, che, per l’abbondanza delle piacevoli delizie, si occupa molto meno delle opere buone. Al contrario quando si trova nell’asprezza e nell’aridità spirituale, a misura che si vede privata dei sentimenti piacevoli della devozione, moltiplica le opere concrete e interiormente genera più copiose le vere virtù, quali la pazienza, l’umiltà, l’abiezione di sé, la rassegnazione, l’abnegazione dell’amor proprio.
Molti, specialmente le donne, cadono nel grave errore di credere che il servizio che noi rendiamo a Dio senza piacere, senza tenerezza di cuore e senza sentimento, sia meno gradito alla Maestà divina. Al contrario, le nostre azioni sono come le rose che, quando sono fresche, sono più belle, quando invece sono secche emanano un profumo più acuto: lo stesso avviene per le nostre opere: quelle fatte con tenerezza di cuore piacciono più a noi, dico a noi, perché noi guardiamo soltanto il nostro piacere; quelle invece compiute con aridità e sterilità, sono più profumate e hanno più valore davanti a Dio. Sì, cara Filotea, in tempo di aridità, la volontà ci trascina al servizio di Dio quasi per forza e, per conseguenza, deve essere più vigorosa e costante che in tempo di tenerezze.
Non vale gran che servire un principe in tempo di pace, negli agi della corte; ma servirlo nella durezza della guerra, in mezzo ai torbidi e alle persecuzioni è un vero segno di costanza e di fedeltà. La Beata Angela da Foligno dice che “l’orazione più gradita a Dio è quella che si fa per forza e costrizione”, ossia quella che facciamo non per il piacere che vi troviamo, o perché vi siamo portati, ma soltanto per piacere a Dio.


Dall’ “Introduzione alla vita devota” di S. Francesco di Sales
(Parte IV°, cap. XIII)
Dio porta avanti la vita di questo meraviglioso mondo in un continuo avvicendamento: al giorno segue la notte, all’autunno, l’inverno, all’inverno la primavera; un giorno non è mai la monotona ripetizione di un altro, ce ne sono di nuvolosi, di piovosi, di secchi, di agitati dal vento; tutta questa varietà conferisce all’universo una grande bellezza. La stessa cosa avviene per l’uomo, che, secondo gli antichi, è un piccolo mondo, perché non si trova mai nella stessa condizione e la sua vita scorre su questa terra come le acque che scrosciano e ondeggiano in un continuo turbinio di movimenti. Ora lo alzano verso la speranza, ora lo prostrano nella paura, ora lo spingono verso la destra della consolazione, ora verso la sinistra dell’afflizione, e non si dà mai un giorno solo, anzi nemmeno un’ora sola, che sia identica all’altra.
Voglio darti un consiglio fondamentale: dobbiamo sforzarci di conservare una continua ed inattaccabile uguaglianza di cuore in una simile varietà di situazioni; e benché intorno a noi tutto muti in continuazione, dobbiamo rimanere saldamente fermi per guardare, tendere e protendere sempre al nostro Dio. Qualunque rotta prenda la nave, sia che faccia vela verso ponente o verso levante, verso mezzogiorno o verso settentrione, qualunque sia il vento che la spinge, l’ago della bussola sarà sempre rivolto alla bella stella e al polo. Anche se tutto dovesse capovolgersi, non soltanto intorno a noi, ma anche dentro di noi, nonostante tutto, per sempre e costantemente, la punta del nostro cuore, il nostro spirito, la nostra volontà superiore, che è la nostra bussola, deve guardare senza sosta e tendere stabilmente verso l’amore di Dio suo Creatore, suo Salvatore, suo unico e supremo bene. E questo indipendentemente dal fatto che la nostra anima sia nella tristezza o nella gioia, nella dolcezza o nell’amarezza, in pace o nel turbamento, nella luce o nelle tenebre, nella tentazione o nella serenità, nel piacere o nel disgusto, nella aridità o nella tenerezza, sia infine che il sole la bruci o che la rugiada la rinfreschi! Sia che tu viva o tu muoia, dice l’apostolo, sei in Dio. Chi ci separerà dalla carità e dall’amore di Dio? Niente mai potrà separarci da quest’amore: né la tribolazione, né l’angoscia, né la morte, né la vita, né il dolore presente, né il timore degli eventi futuri, né le arti dello spirito maligno, né la grandezza delle consolazioni, né la tenerezza, né l’aridità: nulla dovrà mai separarci da questa santa carità fondata su Gesù Cristo.
Questo proposito così saldo di non abbandonare Dio e il suo tenero amore è il contrappeso necessario perché le nostre anime si conservino nella santa uguaglianza in mezzo all’intreccio delle varie spinte che la natura di questa vita porta con sé. Allo stesso modo che le api, sorprese dal vento in aperta campagna, afferrano dei sassetti per potersi bilanciare nel volo e non essere facilmente travolte dalla tempesta, la nostra anima, che ha con forza e decisione abbracciato il prezioso amore di Dio, rimane salda in mezzo alla varietà e alternarsi di consolazioni e afflizioni, tanto spirituali che temporali, esteriori e interiori.