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Dominus Tecum

In cammino verso la Resurrezione I° parte

P. Cesare Falletti O. Cist. - 17/01/2005

La “festa delle feste” è Pasqua: tutto il mistero divino, l'economia della salvezza, è un cammino verso la Pasqua di Cristo. Il lungo tempo della preparazione alla venuta di Gesù, i duemila anni di cui parla l'Antico Testamento, sono in vista dell'Incarnazione del Verbo, e l'Incarnazione del Verbo è per la Risurrezione.
Dio è venuto a cercarci dove siamo, per portarci là dove è Lui.
Detto questo comprendiamo quanto è giusto che ci prepariamo durante un lungo tempo a questa “festa delle feste”. La preparazione non è un tempo di riflessione, di studio, oppure una serie di azioni da compiere, ma un cammino di tutta la persona che tende verso una méta, che desidera arrivare, e arrivare in un posto in cui è aspettato o, meglio, da Qualcuno che l'attende.
Tutto l'anno liturgico è questo cammino, ma la Quaresima è il momento in cui, invece di rallentare lo sforzo perchè la méta è vicina, siamo chiamati a raddoppiare lo zelo nel camminare per poter conquistare la vetta.
Siamo chiamati a risorgere alla vita nuova, a vivere la vita divina.
Il Figlio ci parla del Padre di cui è la perfetta immagine: “Chi vede me vede il Padre” (Gv. 14) e la parola che usa frequentemente è “come”.
“…Siate come il Padre…”, “…come me…”, “…amate come me…”, “…fate come il Padre…”. Il Vangelo, che è la Buona Novella della nostra chiamata e della nostra salvezza che ci conducono al Padre, è cosparso di questa paroletta. Sembra che non vi sia altro modo di camminare per giungere alla beatitudine, alla comunione con il Padre, alla perfezione della vita umana. Solo lo sguardo trasfigurante verso Gesù ci permette di avanzare verso la vita.
Come il Padre, come il Figlio: lo Spirito ci conduce verso la restaurazione della nostra somiglianza divina, già data ad Adamo, ma sfigurata dal peccato, conducendoci nel deserto, perchè questa trasfigurazione si compia.
Le prime due domeniche di Quaresima ci fanno ascoltare e meditare due Vangeli: quello delle tentazioni di Gesù nel deserto, dove è stato condotto dallo Spirito, e quello della Trasfigurazione sulla montagna, in cui la luce divina si comunica all'uomo attraverso l'umanità del Verbo.
La Quaresima è, dunque, un cammino nel deserto, un tempo di spogliazione di tutto per riconoscere che le cose sono solo i contorni della strada, doni che ci sostengono nella fatica dell’andare, ma che portano sempre con sé il rischio di distrarci dall'avanzare speditamente; tempo in cui la povertà ci fa riconoscere che Dio è l'unico necessario, che è la Vita e che la nostra vita è totalmente dipendente da Lui. Il deserto però è anche esperienza del suo occhio attento e paterno, che ci segue passo passo conducendoci alla terra promessa, attraverso la montagna della Legge il Sinai, il comandamento che ci apre gli occhi alla vera nostra natura e che ci insegna ad essere ciò che siamo, immagine di Dio; Terra promessa in cui il nostro volto risplende di una luce divina, l'uomo senza opacità né ambiguità, senza impurità né doppiezze, semplificato da una volontà che doma e corregge le voglie disordinate per unificarle in una volontà di comunione, di amore, di carità perfetta.
Perchè questo è lo scopo della nostra vita: attraverso le prove e le tentazioni che ci stimolano e ci provocano a dichiarare di chi siamo amici, raggiungere il monte dell'incontro, dove con il volto trasfigurato possiamo vedere Dio, e godere di questa visione e di tutto ciò che essa ci porta.
L'aspetto penitenziale della Quaresima ha come unico scopo di ricentrare la nostra attenzione sull'unico necessario, di farci correre con cuore libero (“dilatato” dice un Salmo, ripreso dalla Regola di S. Benedetto), verso la méta che è vedere Dio ed essergli simili.
Nella mitologia si trova la figura di una principessa che correva veloce e che si era promessa in sposa a chi l'avrebbe battuta nella corsa. Il conquistatore correndo davanti a lei faceva cadere delle mele d'oro, che arrestavano la principessa che si attardava a raccoglierle. E così che fu battuta. La mela d'oro, il frutto dell'albero del Paradiso, continua ad arrestarci e spesso a deviare il nostro percorso, facendoci troppo spesso andare molto lontano dal retto cammino.
In questa luce la Quaresima diventa un tempo di grazia in cui sentiamo l'avvicinarsi della Vita, non della morte, come l'ha defigurata una certa spiritualità medioevale, ripresa volentieri nel secolo romantico.
Questo sguardo defigurato sulla Quaresima ha spostato l'accento dalla vita alla morte e soprattutto dal desiderio alla paura di Dio, che si è annidata nel cuore dell'uomo con il peccato di Adamo. In tal modo l'aspetto penitenziale della Quaresima e della penitenza cristiana in genere, da preparazione gioiosa e fervente è diventato punizione e tortura, dolorismo e tremore, a tal punto che all'avvicinarsi di questo tempo ci si stordiva con il Carnevale, per non pensarci.
Nel suo rapporto con Dio, l'uomo deve ricominciare sempre a convertirsi dal timore all'amore, per comprendere in tal modo che la Quaresima ci chiama ad affrettare la nostra preparazione alla Risurrezione, risorgendo ogni giorno a vita nuova. Tempo di urgenza che non si sofferma tanto a meditare il momento della morte-risurrezione della “nostra ora”, ma si applica a risorgere subito per unirsi al Cristo risorto. La Pasqua diventa così il tempo delle nozze della nostra umanità con Cristo.
Il passaggio dal timore all'amore, che è la grande conversione dell'uomo e dunque il suo cammino verso la risurrezione, è passaggio religioso dalla magia alla “pietas”, cioè dal “fare” che costringe Dio a non infierire su di noi poveri peccatori, bloccandolo in un certo senso o comprandolo, all'amare che, affidandosi all'Amore-Misericordia senza limiti, agisce in comunione “come” il Dio che suscita e risuscita la nostra vita.
Se non c'è risurrezione il nostro rapporto con la divinità non può essere che di difesa perchè, anche se concepisco che il Potente mi aiuta ed è buono con me, la mia relazione con Lui non può uscire dall'avvenimento, da ciò che succede, da ciò che vivo ora, per cui devo rendermelo propizio e parare i colpi. La sua giustizia non è salvezza.
Se la gratuità del suo amore non giunge a ridarmi una vita nuova, dopo che la mia attuale, lo vedo, è insufficiente a darmi la beatitudine a cui aspiro o dispero o chiedo un'altra possibilità in cui cercherò di comprare la beatitudine che non ho ottenuto in questa vita (di qui la credenza nella reincarnazione così diffusa nella nostra società, poco abituata alla gratuità dell'amore).
La fede nella nostra risurrezione invece mi dà il gioioso desiderio di entrare in comunione con Dio, di essere con Lui, per vivere con Lui, di partecipare alla sua stessa vita, e questo non solo come premio per le mie buone azioni, ma perchè la mia carne, la mia umanità, inscindibilmente anima e corpo, si è preparata giorno dopo giorno a ricevere ciò che non può darsi.
Questa preparazione avviene in un alternarsi di tempi forti che ci stimolano e tempi più “ordinari” i cui senza distogliersi dall'obbiettivo, la corda del nostro arco si distende perchè la debolezza dell'uomo non può vivere in una continua tensione verso l'Assoluto, come gli angeli, senza spezzarsi.
Il cammino verso Pasqua di tutta la vita, di tutto l'anno liturgico, è fatto di questa alternanza di tempi forti e ordinari, che hanno però in comune di mantenere sempre fisso l'obbiettivo dell'incontro trasfigurante con Dio.