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In cammino verso la Resurrezione II° parte

P. Cesare Falletti O. Cist. - 17/01/2005

Quali sono i passi o i mezzi che possiamo usare in questo cammino?
Per muoversi occorre avere una méta. L'uomo va verso un punto che desidera raggiungere, oppure fugge da ciò che lo impaurisce, ma sempre cercando un punto in cui trovare riparo.
Il cammino della nostra vita anch'esso tende a una méta; per questo non è bene ritardarlo con troppi sguardi indietro. Considerare il passato, cosa che spesso genera sensi di colpa o rimpianti entrambi sterili, è positivo solamente nel caso in cui si vuole ringraziare, perchè il ringraziamento suscita fiducia per il cammino futuro.
Guardare una méta comporta una conversione, voltarsi verso di essa e intraprendere risolutamente il cammino. Voler tendere alla Risurrezione, alla somiglianza con Dio, all’acquisto della vita divina, richiede necessariamente la decisione di “convertirsi”, di darsi un nuovo orientamento, di partire staccandosi da ciò che ci lega in un modo o in un altro. Tutte le esigenze evangeliche ci portano a questo. Si cerca di distinguere fra comandamenti e consigli, fra ciò che è chiesto a tutti o solamente a qualcuno, ma sono sottigliezze secondarie. Gesù chiede a tutti di seguirlo nel cammino verso Gerusalemme, che Lui ha intrapreso risolutamente e dove si compirà la sua e la nostra Pasqua, cioè il passaggio da una vita di morte alla Vita divina.
E il primo passo per convertirsi è il riconoscere che la nostra direzione non è buona, cioè riconoscere che in me domina il peccato, la non conformità con il progetto di Dio, l'autonomia invece della comunione.
“Se dico non sono peccatore, faccio di lui un mentitore” dice S. Giovanni.
La sua parola di vita, che mi è data per la mia salvezza, non sarebbe vera e quindi sarebbe inutile. Troverò in me stesso la mia salvezza; questo è il continuo sforzo dell'uomo, ma è una fatica di Sisifo .
Riconosco il mio peccato e lo confesso, non per disprezzarmi, ma per confessare la mia fede: Dio Misericordioso è mio Salvatore, vuole e può salvarmi. Se mi converto a Lui realizzerà questa meraviglia e avrò la vita.
Dal momento che mi riconosco legato, dipendente dalla sua bontà misericordiosa, comprendo che nella mia conversione devo slegarmi da ciò che prende il posto del Salvatore, a cui sono attaccato in modo squilibrato, in cui tendo a riconoscere la mia felicità.
E' tutto il ruolo dell'ascesi: non dobbiamo cercare di soffrire, ma accettiamo che questo lavoro di liberazione ci faccia soffrire, perchè ciò a cui tendo è più importante, più urgente di ciò che mi soddisfa immediatamente. L'ascesi è stimolo e garanzia dell'amore. Non c'è modo più grande di dire il proprio amore che morire per l'amico, dice Gesù. Ma la morte non è un gran gesto, nobile e vuoto, è una necessità nell'espressione dell'amore fedele. Se non muoio per te, in questa circostanza precisa, non ti amo. Il suicidio non è morte per amore, perchè questa non è mia volontà, una mia decisione, ma esigenza di un contesto che mi chiede di essere fedele fino a tal punto. Gesù è morto perchè è rimasto fedele alla parola di Verità che ci salva e ci rende liberi, non perchè trovava che era bello morire per dare un bell'esempio. E così i martiri. La morte vivificante è sempre una fedeltà alla Verità.
L'ascesi è su questa linea. Piccole morti per essere libero da ciò che si impone falsamente come necessità salvatrice.
La forma più tipica dell'ascesi e fra le più importanti è il digiuno, perchè tocca un aspetto vitale della nostra esistenza: se non mangiamo muoriamo. Ma l'avidità suscitata dall'istinto di sopravvivenza diventa ricerca di felicità e alla fine dipendenza dal cibo. Il cibo da elemento necessario e buono, dono di un Dio che si occupa di noi e quindi luogo di comunione, diventa un fine in sé. Non addormentatevi nel mangiare e nel bere, cioè mangiando e bevendo; non dimenticatevi che la sorgente della vita è Dio.
Il digiuno ci provoca; suscita in noi la paura della morte (o semplicemente dello star male), ci fa reagire di fronte alla mancanza di qualcosa che non ci è sempre necessario. Per questo trovo che il migliore digiuno non è il grande exploit, ma la fedeltà in una certa rinuncia.
Ma tutte le altre forme di ascesi hanno la stessa dinamica:
- la veglia, con il suo aspetto più di liberazione dalla schiavitù del tempo, che dell'accumulare sonno.
- la sobrietà nell'uso delle cose e tutte le varie rinunce alle cose materiali, intellettuali e anche spirituali;
- la povertà scelta come stile di vita e come luogo d'amore preferenziale per il Signore;
- la castità, scelta di amore per Dio o per il coniuge o per tutti gli altri, invece di una ricerca del piacere per sé o del colmare la voragine che scava continuamente la nostra affettività e desiderio di possedere non solo le cose, ma anche le persone;
- l'elemosina, come spogliamento di beni su cui contiamo troppo per il nostro benessere;
- l'obbedienza, come scelta di preferenza della gioia dell'altro piuttosto che della mia. Ecc.
Tutte queste cose, che sono un lavoro su di sé per essere liberi, ricevono la loro autenticità e bellezza se vissute nella carità, senza la quale tutto è solo un vuoto risonante.
La carità verso Dio e verso il prossimo è con l'umiltà il terreno sicuro per il cammino. Senza l'amore per Dio non si può andare verso di Lui; e senza l'amore per i fratelli la carità è solo un'illusione. Mentre l'umiltà è ciò che ci fa essere veri, senza maschere o artifici, luogo su cui scende la benedizione trasfigurante di Dio.
E tutto questo va vissuto secondo le quattro virtù cardinali.
La prudenza che ci fa scegliere le cose giuste e utili per noi e per gli altri, ciò che fa crescere, in modo che il diavolo non porti via con un soffio ciò che abbiamo costruito con leggerezza;
la fortezza che ci fa esser fedeli nel tempo e non uomini di un momento come coloro che hanno ricevuto la Parola sulla pietra;
la temperanza o la giusta misura in tutto, che ci libera dagli affanni e dalle preoccupazioni che soffocano ogni buon desiderio;
la giustizia che ci fa avere uno sguardo corretto su di noi, su Dio e sugli altri e orienta l'ascesi verso un bene armonioso e ben ordinato in modo che porti molto frutto.
Ed infine la preghiera: rimanere col cuore orientato verso Dio, attenti alla sua presenza, pieni di azione di grazie per il suo amore e portando davanti a Lui il peso e la fatica dell'umanità.