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I monaci si prevengano nello stimarsi a vicenda. RB 72,4

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Dominus Tecum

Lettera di S.Paolo ai Filippesi V

Omelie al Capitolo della comunità per la Quaresima - 09/03/2009

Filippesi 1,9-11

"E perciò prego che la vostra carità si arricchisca sempre più in conoscenza e in ogni genere di discernimento, perché possiate distinguere sempre il meglio ed essere integri e irreprensibili per il giorno di Cristo, ricolmi di quei frutti di giustizia che si ottengono per mezzo di Gesù Cristo, a gloria e lode di Dio."

Il giorno di Cristo è oggi e anche il giorno eterno; tutti i giorni del cristiano sono “il giorno di Cristo” perché con il battesimo noi siamo entrati in un tempo nuovo. La successione delle ore e dei giorni non fa mutare la Presenza. Siamo, è vero, nel mondo materiale e in noi portiamo ancora gli alti e bassi dei tempi che si succedono, ma in noi c'è qualcosa, che abita già l'immortalità di Dio che manifestiamo con la nostra perseveranza, con il ricominciare pazientemente a voler essere suoi, malgrado stanchezze, cadute, tentennamenti.
“Essere integri e irreprensibili per il giorno di Cristo”, non è tanto il guardare il giorno della nostra pasqua, ma il ricominciare costantemente a vivere la pasqua nel cammino del deserto della quaresima.
Questo nostro “tendere a”, con tutto il dinamismo dell'oggi che ci fa toccare la meta in Cristo, presente in noi, accolto, amato, ascoltato, adorato, ci ricolma di frutti di giustizia. Non è l'accumulo di virtù quasi da elencare per dire quanto siamo bravi. Qui è piuttosto la pienezza del frutto, la maturità nello sforzo della crescita; questa pienezza è insieme un frutto, perché ogni atto d'amore porta in sé la pienezza, la maturità del grano seminato dallo Spirito nel nostro cuore, ma rimane anche la somma della successione di tutto ciò che di buono e di bello compiamo e desideriamo e a cui tendiamo con ogni desiderio spirituale. Frutti di giustizia è questo, per un ebreo come Paolo, vuol dire osservanza della legge, ma in Paolo il cristiano trova il suo pieno significato nella salvezza che Cristo ci ha ottenuto, senza questa, le nostre opere “giuste” sarebbero presto cancellate dalle nostre cadute, come dice Ezechiele, perché nessuno è capace di tenere in una giustizia senza cadute. Pietro nel Concilio di Gerusalemme lo dice: “un giogo che né i nostri padri, né noi siamo stati in grado di portare” (At 5,10), è anche il tema della lettera ai Galati.
Il cristiano dunque sa che è stato Cristo ad avergli ottenuto di essere guardato come giusto dal Padre, perché con il battesimo si è spogliato dell'uomo vecchio e si è “rivestito di Cristo”. La legge di Cristo che porta a pienezza, a compimento, la legge antica fa sì che aderendo con l'obbedienza all'obbedienza di Cristo, il cristiano mantiene senza macchia l'abito nuovo e candido di coloro che sono uniti all'Agnello.
E questo, conclude e precisa Paolo, “a gloria e lode di Dio”. La gioia e la pienezza del cristiano, spogliato di ogni egoismo e miopia, non è il godimento personale della beatitudine promessa, ma il fatto che Dio sia lodato e glorificato.
Con questo l'uomo si spoglia totalmente d'ogni egocentrismo e attenzione eccessiva sé, per vivere solo per la lode e la gloria di Dio.
Il pieno frutto di una vita in cui la grazia lavora l'uomo e lo santifica, è che Dio ne viene lodato e glorificato. Come Gesù ha annientato se stesso per il Padre e i fratelli, così l'uomo al suo seguito non ha altro scopo e altra gioia che Dio sia glorificato in tutto. Nella lettera agli Efesini Paolo dice: “essendo stati predestinati secondo il piano di colui che tutto opera efficacemente conforme alla sua volontà, perché noi fossimo a lode della sua gloria” (Ef 1,11).