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Che cosa vi è di più dolce per noi, fratelli carissimi, di questa voce del Signore che ci invita? Ecco, il Signore, nella sua bontà, ci mostra il cammino della vita. RB, Prol 19-20

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Cistercense
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Lettera di S.Paolo ai Filippesi VI

Omelie al Capitolo della comunità per la Quaresima - 10/03/2009

Filippesi 1,12-13

"Desidero che sappiate, fratelli, che le mie vicende si sono volte piuttosto a vantaggio del vangelo, al punto che in tutto il pretorio e dovunque si sa che sono in catene per Cristo;"

Dopo l'introduzione piena di affetto, Paolo dà sue notizie sapendo che i filippesi, come le altre Chiese, erano in ansia per lui.
Certo la sua condizione sembra non essere ottimale: è in catene, impedito quindi di continuare i suoi giri missionari, ma come dice altrove, la parola di Dio non si lascia incatenare, e anche questa condizione, che sembra di essere ostacolo al Vangelo, diventa luogo di diffusione di esso.
Il Vangelo non ha bisogno di condizioni favorevoli, d'appoggio delle autorità civili, di sussidi, di essere difeso con le armi, d'essere messo in condizione di vantaggio: ha una forza sua che sembra raddoppiare proprio nelle persecuzioni, e infiacchirsi nel successo e nella facilità. Ascoltando le parole di Gesù, questo fatto sembra ben coerente a quello che ha detto e non ha mai ingannato i suoi discepoli promettendo la facilità e il successo. Su questo dobbiamo continuamente convertirci, perché mai accetteremo pienamente e con cuore libero e gioioso questa dinamica divina.
Per chi non ha responsabilità nella Chiesa, come noi, è più facile dirlo che per la Chiesa a grande livello, ma appena questo ci riguarda nel nostro monastero o nella nostra persona non capiamo più, ci scoraggiamo, lamentiamo, protestiamo. Paolo invece fa l'esperienza concreta che proprio la sua condizione in catene, impedito e maltrattato, è sorgente d'evangelizzazione; perché tutti hanno capito che è per Cristo che è in catene, e questo, forse per la curiosità o per l'ammirazione e certamente per l'atteggiamento fermo e nobile di Paolo provoca delle domande in chi lo vede, viene a conoscerlo, e si accorge che sotto le catene non c'è un atteggiamento di delinquente, ma una fede più forte delle catene stesse e di ogni sofferenza. Questa è la dinamica della croce, ma penso che finché non siamo toccati non possiamo capirne la verità e la fecondità. Pensiamo a tutto il dramma della storia della fine dello Stato Pontificio, ci sono voluti cento anni prima che un Papa, Paolo VI, dicesse che per la Chiesa è stato un bene e una sorgente di libertà.
E davvero la Chiesa non è mai stata tanto libera di evangelizzare, anche nel cuore dell'ostilità delle persecuzioni, quanto nel secolo che ha seguito, pur perdendo troppo spesso l'occasione di non fermarsi a rimpiangere il suo passato di staterello insignificante.
Solo la storia ci fa capire quanto le “catene” e tutto il cammino della croce fa risuonare nel mondo intero il vero annuncio della salvezza.
Paolo stesso è meravigliato, e con il cuore pieno di allegrezza per questo fatto: le sue catene, la condizione d'inferiorità, di disprezzo in cui sembrava essere, agiscono come fermento che fa crescere la fede, perfino nel pretorio, in un ambiente “difficile”.
Convertirci a non sperare nel successo e nella facilità non è una cosa evidente, a parole siamo tutti capaci, ma quando uno entra oggettivamente o soggettivamente in una situazione di catene o di croce, solo allora riceve una chiamata alla fede che porta frutto per la salvezza del mondo.