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Cistercense
Dominus Tecum

Lettera di S.Paolo ai Filippesi X

Omelie al Capitolo della comunità per la Quaresima - 15/03/2009

filippesi 1, 21- 24

"Per me infatti il vivere è Cristo e il morire un guadagno. Ma se il vivere nel corpo significa lavorare con frutto, non so davvero che cosa debba scegliere. 23 Sono messo alle strette infatti tra queste due cose: da una parte il desiderio di essere sciolto dal corpo per essere con Cristo, il che sarebbe assai meglio; 24 d’altra parte, è più necessario per voi che io rimanga nella carne."

Quello che segue è un pezzo molto bello, ma non tutto di facile comprensione. Siamo ancora nel clima della denigrazione e dell'invidia, della povertà e della persecuzione che fanno pensare a cosa è importante, cosa è essenziale, cosa desidera veramente Paolo.
Il punto di partenza è l'affermazione: “per me vivere è Cristo e la morte è un guadagno”. Dicevo che cosa vuol dire vivere in Cristo, non è chiarissimo, ma si intuisce l'unione profonda e l'importanza che Cristo ha per Paolo. Il morire è abbandonare la fragilità della carne che non può aprirsi alla visione e alla piena unione, è un guadagno.
La certezza che la morte ci apre all'unione, all'amore totale all'essere con Cristo dà un forte desiderio, eppure nella fragilità della nostra natura la morte fa paura, è sempre qualcosa di sgradevole, in parte per la sofferenza fisica che spesso l'accompagna, in parte per il distacco che impone, in parte, preciso: una parte forte, perché la fede ci dà una certezza che non toglie lo sgomento di fronte al mistero, all'invisibile, al non conosciuto, a tutto ciò che non possiamo gestire.
Per essere sereni di fronte alla morte e considerarla un guadagno occorre lavorare molto sulla propria fede che ci unisce a Gesù e lo abbraccia con un desiderio d'amore. E questo fa nascere la speranza che è l'unica luce che dà gioia di fronte alle avversità della vita di uomo, di credente, di monaco. Siate nella speranza, dice Paolo.
Detto questo Paolo dà un risvolto sorprendente: se tutto questo è chiaro e quindi il desiderio di morire e soprattutto per Cristo, visto che è in prigione, è il suo desiderio, c'è forse una carità ancora più grande e più urgente: il bene della Chiesa e dei fratelli.
Questa doppia carità fa sì che non sa cosa deve scegliere. Scegliere: naturalmente come oggetto del desiderio e della preghiera, perché non si sceglie di morire, ma neanche per vivere si può scegliere di tradire o rinnegare Cristo. Paolo non ha in mano il suo destino, eppure parla di scelta. Il Signore è attento ai nostri desideri, e qui sembra quasi che Lui sia pronto ad esaudire il desiderio di Paolo e lasci a Paolo la decisione del suo destino.
E fra la carità fraterna e l'abbraccio eterno vince la carità . Questo rischiara e dà grande peso alla frase della Regola di san Benedetto 72: “nessuno ricerchi quello che ritiene utile a sé, ma piuttosto quello che è utile all'altro”, spesso Paolo parla di carità in questa luce, “la carità non cerca il suo interesse”, neanche quello spirituale! Perché Dio è carità e Lui non ha risparmiato suo Figlio per amore per noi, non si può amare altrimenti.
Il bene dei filippesi e in generale della Chiesa gli chiede di continuare a portare “nella carne”, nella fatica, nella fragilità, separato dal suo amore da un velo che solo la morte strapperà, il peso dell'evangelizzazione. Ai romani dice: “vorrei essere io stesso anatema, separato da Cristo a vantaggio dei miei fratelli” (Rm 9, 3). Quando parla di carità Paolo si spinge molto lontano e ci fa comprendere come non si può amare se non seguendo Gesù sulla croce. Non possono esserci mezze misure, un po' questo e un po' quello, ma anche in concreto per lui voleva dire continuare a essere perseguitato, a fare viaggi stancatissimi, a lottare con nemici interni ed esterni.