Logo Dominustecum

A Dio, non a sé, attribuire il bene di cui ci si riconosce capaci. RB 4,42

fotogallery
Monastero
Cistercense
Dominus Tecum

Lettera di S.Paolo ai Filippesi XVIII

Omelie al Capitolo della comunità per la Quaresima - 15/04/2009

filippesi 2,6

"il quale, pur essendo di natura divina,
non considerò un tesoro geloso
la sua uguaglianza con Dio;"

In questo tempo pasquale è bello trovare l'inno che abbiamo letto e cantato nel tempo della passione e che ha una grandezza e un'interezza che ci fa penetrare a fondo nel mistero di Cristo. Innanzi tutto come il Prologo di Giovanni e altri passi neotestamentari ciò che è chiaramente sottolineato è la parabola discendente-ascendente. La nostra vita riceve tutto il suo senso in questo abbassamento-glorificazione.
Il Verbo di Dio, uguale a Dio, Dio Lui stesso con il Padre e lo Spirito, è venuto a noi per portarci al Padre, e per introdurci nella comunione trinitaria. Per un cristiano togliere questo senso profondo all'incarnazione è rendere assurdo tutto il Vangelo. Dio è venuto a prenderci per portarci nella gloria, non a insegnarci una filosofia di vita; se insegna un cammino di vita è perché questo è il cammino verso la comunione con il Padre, non una retta via per vivere correttamente.
Ammiriamo l'abbassamento, ma solo se ci rallegriamo per il nostro innalzamento.
Questo è il sentimento di Cristo richiamato dal versetto che introduce questo inno: abbiate gli stessi sentimenti di Cristo che per salvarci e condividere la Sua gloria si è reso “vuoto”. In precedenza aveva parlato della vanità, gloria vuota che gli uomini cercano; Gesù invece ha una gloria piena e si svuota per raggiungerci nel nostro nulla.
Paolo comincia con il sottolineare che Gesù è Dio e lo rimane. Il verbo d'esistenza che usa è in forma continuativa. La vecchia traduzione della CEI diceva: “pur essendo di natura divina”, mentre la nuova: “anche condizione di Dio”. Prima era più forte ed esplicito, ma penso che hanno scelto la seconda per far parallelo con: “condizione di servo”. La parola greca “forma” può voler dire natura immutabile perché una forma transitoria si dice in un altro modo (schema). Quello che Paolo sottolinea è che avendo una natura divina, eterna e immutabile – irrinunciabile - Gesù ha preso una natura (stessa parola stabile) di servo, cioè di uomo, ma il verbo non è in un presente eterno, ma in un passato di divenire. “Pur rimanendo ciò che era ha preso ciò che non era”, cantiamo al primo gennaio.
Questo grande movimento che inizia l'inno e che poi è sviluppato in modo molto forte mettendo in risalto l'umiltà e l'obbedienza di Cristo (i sentimenti che dobbiamo avere anche noi), procede nel movimento inverso d'ascensione.
Qui però il Cristo riceve dal Padre il movimento d'ascensione: Dio l'ha sovra-esaltato, anche qui non c'è un presente continuo, ma un passato che indica un'azione una volta per tutte.
Colui che si è abbassato una volta per tutte e ha preso la nostra natura di servi, è esaltato una volta per tutte con la stessa natura che ha preso, la sua natura divina essendo rimasta immutabile. É dunque sottolineato il grande mistero dell'Immutabile che ha preso una mutabilità. Questa è il grande tema delle antifone del primo gennaio e di tutta la liturgia di Natale e di molti inni di sant' Efrem.