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A Dio, non a sé, attribuire il bene di cui ci si riconosce capaci. RB 4,42

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Dominus Tecum

Lettera di S.Paolo ai Filippesi XX

Omelie al Capitolo della comunità per la Quaresima - 20/04/2009

filippesi 2,7

"ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana"

L'inno passa dalla condizione divina, che Gesù aveva per natura e che quindi non aveva né da conquistare né da difendere, a quella di uomo. Ha accettato, voluto con comunione alla volontà del Padre che voleva salvare gli uomini, di rendere non visibile la sua condizione divina e di non essere ritenuto come tale. Tutto il percorso umano di Gesù, quello che leggiamo nei vangeli, è in questa “invisibilità” di Dio; solo la fede riconosceva almeno il mistero, ma in particolare il Vangelo di Giovanni ruota tutto sulla testimonianza di Gesù su se stesso, che faceva intuire la Sua divinità e sul rifiuto degli uomini di accettare questa testimonianza, riconoscibile solo se si rinasce dello Spirito Santo.
La descrizione sull'umanità di Gesù è fatta con pennellate successive.
La prima, ne ho già parlato, è lo svuotamento: assumendo la condizione di servo. Qui “servo” non è in forma spregiativa, ma sottolinea almeno due cose: la prima è che pur essendo d'uguale Gloria e Potere del Padre, il Figlio si è fatto servo del Padre e ha potuto in verità dire “perché il Padre è più grande di me” (Gv 14,28). Con tutta la Sua vita terrena il Verbo ha realizzato nella Sua persona le profezie del servo di Dio ed è stato un vero adoratore del Padre. Questo mistero appare già nelle tentazioni del deserto. La parola servo non ha quindi un valore spregiativo, anzi indica un uomo devoto e fedele.
Ma l'altra nota di questa parola è che prendendo la condizione degli uomini, il Figlio non ha preso una condizione di supremazia o di potere, certo inferiore a quello divino, ma sempre “in vista”. Gesù stesso ha detto: “Io sono in mezzo a voi come colui che serve” (Lc 22,27) e ha detto che non è venuto per essere servito come gli gli sarebbe spettato essendo Dio e Maestro, ma per servire.
La seconda pennellata è: diventando simili a gli uomini. E questo sottolinea la Sua vera condizione umana. Altre volte Paolo sottolinea il fatto che Gesù è diventato simile agli uomini prendendo su di sé il peccato, o “fatto peccato” o per lo meno “in tutto salvo il peccato”. Qui non è questione della condizione dell'umanità peccatrice, ma semplicemente della realtà del suo essere uomo. Nell'uomo il fatto della redenzione voluta a causa del peccato non è sottolineato, ma solo l'amore e l'umiltà. Dio che aveva tutto, che era tutto, che poteva tutto ha preso la condizione limitata degli uomini. Questa condizione umana l'ha presa personalmente su di sé diventando davvero un uomo, persona singola e individuale. La cosa è sottolineata dal passaggio di uomini al plurale, per indicare la condizione umana, al singolare: è stato visto e riconosciuto come un uomo, non nel senso di un fantasma, ma perché era ed è davvero un uomo: il Verbo si è fatto carne. Questo versetto è chiave per la comprensione del resto dell'inno, che non ha come obbiettivo di parlare della morte di Gesù in croce, che è solo un appoggio alla grandezza del Suo abbassamento, ma della parabola discendente e poi ascendente del Verbo di Dio per salvare l'uomo.