
Che cosa vi è di più dolce per noi, fratelli carissimi, di questa voce del Signore che ci invita? Ecco, il Signore, nella sua bontà, ci mostra il cammino della vita. RB, Prol 19-20

Ebrei 10,32-34 (2)
Omelie al capitolo della comunità per la Quaresima - 23/02/2012
"Richiamate alla memoria quei primi giorni: dopo aver ricevuto la luce di Cristo, avete dovuto sopportare una lotta grande e penosa, ora esposti pubblicamente a insulti e persecuzioni, ora facendovi solidali con coloro che venivano trattati in questo modo." (Eb 10,32-33)
Quasi a dire che la normale conseguenza della illuminazione della fede e del battesimo è seguire Gesù nel suo cammino della Croce, subito la lettera agli Ebrei ricorda la lotta sopportata dai cristiani.
Il vangelo di oggi (Lc 9, 23-25) ne pone la condizione con la parola di Gesù: “se qualcuno vuol venire dietro di me prenda la sua croce ogni giorno”. Ma prima aveva ben detto che Lui stesso avrebbe subito quelle prove. Quello è il cammino della fede. Questa infatti non è pura conoscenza di Dio e della sua opera di salvezza, ma è “vivere Cristo”. Con tutto ciò che nella sua battaglia contro lo spirito deviante del mondo, il satana che conduce l’uomo alla perdizione, questo comporta.
Qui si parla di “lotta grande e penosa”. L’autore parla con una parola che ci ricorda l’atletica: imporsi una fatica o entrare in un combattimento. Qualcosa che fa crescere e diventare forti, non qualcosa che distrugge l’uomo. C’è un clima di lotta quasi volontaria che ha come scopo la perfezione dell’uomo. E la seconda parola tradotta con penosa, mostra la sopportazione nel patire. Il verbo è quello così importante nel Nuovo Testamento: upomene. La pazienza perseverante, sorretta dalla speranza, che è la condizione della salvezza nelle parole di Gesù.
Seguire Gesù non questione di un momento, ma è fare tutto il cammino attraverso prove dure e ostacoli, tenendo fisso lo sguardo su di Lui, nostra gioia e non rimanendo bloccati, ipnotizzati dalle prove. La fede infatti ci fa vedere, oltre i passaggi difficili, la bellezza della comunione con Dio. E questo è il senso delle beatitudini.
Questa lotta sostenuta con costanza la combattiamo in due modi. Talvolta “esposti pubblicamente” ad una oppressione schiacciante. Messi alla berlina davanti a tutti. La parola usata è quella all’origine del nostro “teatro” ma con un senso di presa in giro, di satira.
Possiamo pensare ai giochi nelle arene in cui la gente si divertiva a vedere morire torturati e dilaniati i poveri condannati. Ma c’è anche un altro modo per seguire Cristo nella sua passione: è quello di farsi prossimo di chi soffre tali pene. Sembra un modo più facile, a prezzo meno caro, ma qui si parla di koinonia, condivisione profonda, quella di Maria con Cristo in Croce: una spada trafiggerà il tuo cuore. Vedere soffrire coloro che si amano più di se stessi è talvolta più doloroso che sopportare la persecuzione nella propria carne.
È il martirio della carità quello a cui siamo tutti chiamati, anche quando non ci è proposto il martirio di sangue. Farsi prossimo è certamente una conseguenza della fede, perché in questo amore che si lascia trafiggere noi ci uniamo a Gesù presente nei nostri fratelli. L’atto di fede dunque porta con sé la speranza-perseveranza e la carità-martirio in cui si amano insieme Dio e i fratelli. Le tre virtù vanno sempre insieme.