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Cistercense
Dominus Tecum

Lettera di S.Paolo ai Filippesi XIX

Omelie al Capitolo della comunità per la Quaresima - 18/04/2009

filippesi 2,6b

"non considerò un tesoro geloso
la sua uguaglianza con Dio;"

Qui il soggetto è Gesù Cristo, cioè colui che si è manifestato agli uomini, nella carne umana, il Verbo che si è fatto carne, direbbe Giovanni. É lo stesso che è nella condizione divina, che non è stato assunto per premio delle sue facoltà, ma che è tale fin dall'origine, dall'eternità. Qui si può notare, anche se non è detto esplicitamente, che è altro dal Padre pur essendo uguale al Padre. Ed è lo stesso che non ha tenuto conto della sua gloria divina, infinita ed eterna, ma “per noi uomini e la nostra salvezza” -dice il credo- si è incarnato, fatto uomo come noi.
Questo inno è alla base di tutta la nostra professione di fede, ma le parole usate da Paolo sono molto forti e ricche.
Le traduzioni possono essere diverse: non considerò tesoro geloso o non ritenne un privilegio; cioè quello che aveva per natura, la gloria divina, non l'ha considerata in modo geloso, mantenendo le distanze da noi povere creature meschine. Qui l'esempio d'umiltà è grande, perché chi non ha gloria non è niente si se mostra piccolo, ma chi è rivestito di gloria e di onore, accettando per amore la condizione di schiavo mostra una grande umiltà.
Ma questa frase può voler dire anche qualcosa di più forte. Nella parola usata da Paolo c'è una certa violenza: “rapina”. Gesù Cristo non ha rapinato la divinità, e in questo potrebbe essere messo in opposizione ad Adamo che invece ha voluto diventare Dio. Adamo però è ogni uomo orgoglioso che vuole innalzarsi contro Dio o per lo meno indipendentemente da Lui. É Prometeo che ruba il fuoco a Dio, è ogni forma di superbia che è “rapina di una gloria che non si possiede”.
Gesù non ha rapinato, perché questa gloria è sua di natura e non ne ha voluto tenere conto: diremmo: non ha tenuto sdegnosamente le distanze, ma pur rimanendo quello che era divenne ciò che non era (antifona del primo gennaio) senza però nulla aggiungere a se stesso che è da sempre pienezza senza possibilità di crescita, anzi svuotandosi, divenne nella condizione di servo, di schiavo, nella più bassa delle condizioni umane.
Qui Paolo non fa delle distinzioni tra uomo e uomo: non esiste un uomo che valga più di un altro uomo, ma Gesù Cristo per mostrarci il suo svuotamento ha scelto una condizione umana che fosse inequivocabile: non ha scelto nessuna gloria umana. Ecco l'esempio d'umiltà che deve diventare nostro, i sentimenti che Dio vuole condividere con noi perché ritroviamo la somiglianza perduta con Lui.
Da Adamo che vuole “innalzarsi” per diventare vuoto a Gesù Cristo che si svuota per condividere con noi la pienezza della sua gloria, questo è il passaggio che Paolo pone davanti agli occhi dei suoi lettori.