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A Dio, non a sé, attribuire il bene di cui ci si riconosce capaci. RB 4,42

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Monastero
Cistercense
Dominus Tecum

San Benedetto

28/12/2004

"Non anteporre nulla all'amore di Cristo" (Regola di san Benedetto 4.21)

Questo precetto che ricorre più volte nella "Regola dei monaci" di san Benedetto dà la chiave per comprendere tutto il resto.

La vita monastica è una vita cristiana, in cui l'essenziale è che la circolazione divina dell'amore trinitario invada la vita dell'uomo, della Chiesa e d'ogni comunità che nasce dalla vita della Chiesa: dalla famiglia fondata sul sacramento del matrimonio, fino alle comunità religiose.

Come il monaco benedettino (e questa parola comprende tutte le famiglie monastiche che si rifanno alla Regola di san Benedetto - Benedettini, Cistercensi, Camaldolesi, Olivetani, Vallombrosiani, Silvestrini, ecc.) vive questa preferenza in tutto dell'amore di Cristo?

La Regola lo conduce passo passo ad un totale assoluto, al primato di Dio nella sua vita e dell'attenzione a Lui "a tempo pieno". E per questo prevede:

a) una struttura di vita comunitaria
b) una conversione continua del cuore.

La vita della comunità è tutta organizzata in modo che l'attenzione e il ricordo dei Signore, della sua misericordia e della sua bontà sia costante: la preghiera continua non è un inventare continuamente formule o stare sempre in chiesa, ma conservare il ricordo di Dio in ogni momento e in qualunque occupazione, al limite anche dormendo, rimanendo in ascolto della sua Parola, "ruminandola" dopo averla "divorata" e lasciarsi portare da questa presenza e da quest'ascolto ad un fervido e santo zelo nell'amore dei fratelli.

La vita liturgica - preghiera comunitaria, regolare, sette volte al giorno, è il luogo per eccellenza della comunione fraterna che sgorga dall'attenzione alla presenza di Dio. Insieme si vive la comunione con Cristo adoratore del Padre, nello Spirito che muove i cuori e li fonde nell'unità, la comunione con i fratelli, in un reale servizio, nella gioia della lode comune, nell'ansia per la salvezza degli uomini e nel prestarsi a gara obbedienza reciproca, e nella sopportazione con somma pazienza delle infermità fisiche e morali degli altri" (Regola 72), nella gioia dello stare insieme con un ideale comune, nella misericordia e compassione gli uni verso gli altri. Ciò che si vive in chiesa nella preghiera comune, lo si vive in seguito anche nelle differenti occupazioni della giornata. Tutta la vita è centrata sulla presenza dei Signore, ricordata dal suono delle campane, accolta nel silenzio di tutta la giornata, servita nel lavoro e nella cura dei fratelli malati, lodata nella liturgia, accolta negli ospiti, condivisa nei momenti di dialogo e festeggiata al ritmo delle festività liturgiche o della vita della famiglia.

Accanto al ruolo della vita comune è necessaria al monaco, per vivere sempre più la sua vocazione di attenzione al Signore e di sentinella che vigila sull'umanità, una vera conversione, mai terminata, ma sempre ricominciata; "se davvero cerca Dio, se è pronto alla preghiera, se è disponibile all'obbedienza e alle cose umili" (Regola 58)

Benedetto invita ad una vita nascosta agli occhi degli uomini, sotto lo sguardo di Dio, perché Egli solo basta, Egli solo può dare quella pace e quella gioia che l'uomo desidera. L'umanità tutta intera geme per la sua condizione lontana da Dio, dal Dio per cui è fatta e nel quale trova il suo riposo; il monaco, parte viva di questa umanità, tenendosi sotto lo sguardo di Dio, rendendosi e arrendendosi alla misericordia divina, alla tenerezza del Padre, all'opera del Salvatore e docile al soffio dello Spirito, non solo si lascia divinizzare, ma, sempre più, perdendo il proprio io egoista e centrato su di sé, diventa il luogo in cui Dio incontra e colma di grazia e di salvezza tutti gli uomini.

Per questo al monaco non basta mai la generosità cui può arrivare, ma incessantemente chiede a Colui che può tutto di aumentare la sua fede e la sua speranza perché la sua carità verso Dio e verso il prossimo non trovi mai limiti.