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Che cosa vi è di più dolce per noi, fratelli carissimi, di questa voce del Signore che ci invita? Ecco, il Signore, nella sua bontà, ci mostra il cammino della vita. RB, Prol 19-20

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Dominus Tecum

Lettera di S.Paolo ai Filippesi XLI

Omelie al Capitolo della comunità per la Quaresima - 25/06/2009

Filippesi 3,8-11.

"Anzi, tutto ormai io reputo una perdita di fronte alla sublimità della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore, per il quale ho lasciato perdere tutte queste cose e le considero come spazzatura, al fine di guadagnare Cristo e di essere trovato in lui, non con una mia giustizia derivante dalla legge, ma con quella che deriva dalla fede in Cristo, cioè con la giustizia che deriva da Dio, basata sulla fede. E questo perché io possa conoscere lui, la potenza della sua risurrezione, la partecipazione alle sue sofferenze, diventandogli conforme nella morte, con la speranza di giungere alla risurrezione dai morti."

Paolo ha detto che tutte le grandi prerogative che aveva grazie alla sua nascita e allo zelo posto nel compiere in modo perfetto la legge, le considera perdita e spazzatura, di fronte ad una nuova conoscenza di Dio e a una nuova giustizia che non vengono dall’adempimento della legge attraverso virtù umane, ma dalla fede, dono gratuito di Dio che dà una nuova conoscenza amorosa attraverso il mistero di Cristo.
Per questo, per innalzarsi a Lui, invece di gloriarsi delle sue prerogative umane, Paolo le considera spazzatura.
Egli sembra ricordare che il Signore “solleva gli indigenti dalla polvere, dall’immondizia rialza il povero” come è successo per Giobbe, la cui gloria non era nella rettitudine e ricchezza iniziale, ma nella fedeltà a Dio mantenuta anche quando era seduto sul letamaio.
Non bisogna disprezzare i doni e le virtù umane; anche essi vengono da Dio, ma innalzano solo nella misura in cui ci pongono in uno stato di umiltà. La coscienza dei doni ricevuti deve umiliarci e non innalzare e li consideriamo letamaio e spazzatura perché ci fanno capire che la vera grandezza è altra.
Paolo definisce questa grandezza:”sublimità della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore” sapendo che conoscenza qui ha il senso forte, frequente nella Bibbia, di intima unione, non solo intellettuale, ma anche affettiva, personale, sponsale.
Per cui poco dopo dirà che lascia perdere tutto “per essere trovato in lui” e “perché io possa conoscere lui”.
Ora questa non può essere una conquista umana perché Gesù è Dio; solo accogliendo il dono in un atto di fede, che ha certo come conseguenza anche una giustizia umana e l’osservanza della legge, si è uniti al Signore e la nostra vita è trasfigurata.
Non è l’osservanza della Regola che ci fa essere monaci, ma l’appassionata ricerca di Dio, quella sete che lui stesso mette nei nostri cuori e che ci fa continuamente partire per il deserto in cui solo lui conta. In questo andare nel deserto per seguire Cristo noi scopriamo che abbiamo bisogno di parole di sapienza che ci segnalano la strada e seguiamo la Regola per essere fedeli al dono della vocazione che non viene dalla Regola, ma dalla fede, dalla speranza e dalla carità.
Paolo dunque attraverso queste righe e con un tono sempre più appassionato ci svela la sua vocazione e la frase “conoscere lui” ne è un po’ la vetta.
Poi esplicita: la potenza della sua risurrezione, la partecipazione alle sue sofferenze, diventandogli conforme nella morte, al fine di giungere, se possibile, alla risurrezione dai morti.
Siamo ancora nel clima dell’inno: vivere con Cristo, conoscerlo e amarlo vuol dire essere con lui nel mistero pasquale.
Però prima mette la potenza della sua risurrezione: è il Cristo vivo e presente che ci permette di seguirlo nelle sue sofferenze fino alla morte. Ci sono tre parole importanti, conoscere lui e la potenza della sua risurrezione: conoscere per unirsi totalmente. La koinonia, comunione totale con le sue sofferenze. Essere con lui, uniti a lui e lui a noi. Poi una parola che significa “prendere la forma”, partecipare (morfé ricorda l’inno) alla sua morte. E’ un crescendo, perché ha un senso di continuità. Per arrivare alla uscita dal sepolcro. Anche questo ci ricorda RB, “arriverai” che è l’ultima parola della Regola.