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Tutti gli ospiti che giungono al monastero siano accolti come Cristo poiché un giorno il Nostro Signore ci dirà: Ero forestiero e mi avete ospitato. A tutti si renda il dovuto onore RB 53,1

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Cistercense
Dominus Tecum

Lettera di S.Paolo ai Filippesi XLIV

Omelie al Capitolo della comunità per la Quaresima - 16/07/2009

Filippesi 3,17-19.

"Fatevi miei imitatori, fratelli, e guardate a quelli che si comportano secondo l'esempio che avete in noi. Perché molti, ve l'ho già detto più volte e ora con le lacrime agli occhi ve lo ripeto, si comportano da nemici della croce di Cristo: la perdizione però sarà la loro fine, perché essi, che hanno come dio il loro ventre, si vantano di ciò di cui dovrebbero vergognarsi, tutti intenti alle cose della terra."

Paolo riprende con tono esortativo alcuni temi già trattati dicendo “imitate me”, come dice sovente nelle sue lettere, Paolo non vuole cadere in una banale vanità.
La fede non era ancora una cosa chiara, con dei limiti e un tracciato ben studiati.
Paolo dice seguite me, fate come me e come coloro che seguono il Cristo, che non hanno tante teorie, ma vivono di uno sguardo fissato sul Cristo.
I precetti morali possono moltiplicarsi; anche fra i pagani la vita morale era apprezzata e i precetti e i consigli non mancavano. Gli ebrei anche avevano moltiplicato norme e precetti; ma questo non convince Paolo.
Lui è imitatore di Cristo, in un certo senso libero da norme e precetti.
RB dice bene “quale pagina e quale parola d’autorità divina dell’Antico e del Nuovo Testamento non è la norma più retta per la vita umana?”
Pagani stoici e giudaizzanti che ponevano l’accento sul comportamento esatto, sulla moltiplicazione delle prescrizioni si comportano da “nemici delle Croce di Cristo” mettendo l’accento sul fare perfetto dell’uomo piuttosto che sulla grandezza della Redenzione e sull’unione a Cristo in un atto di fede e di amore.
Paolo mette ancora una volta in guardia, e ogni monaco dovrebbe avere le stesse lacrime agli occhi quando vede se stesso o i propri fratelli appoggiarsi sull’applicazione delle norme liturgiche, comunitarie, e di ogni genere, piuttosto che cercare il fervore in un vero dono di sé nella carità dell’obbedienza e del servizio.
Perché lacrime agli occhi? Perché Gesù stesso ha pianto vedendo Gerusalemme indaffarata in tante opere di perfezione e distratta di fronte al dono della salvezza e allo stesso Salvatore.
La tentazione è sempre quella di spostare lo sguardo dall’Albero della Vita, vero dono del Signore, all’albero del bene e del male in cui l’uomo cerca la propria grandezza.
Il loro dio è il ventre e si vantano del disonore.
Non bisogna pensare a orge o libertinaggi, qui non è il contesto, come invece a Corinto.
Sono nemici della croce di Cristo perché pongono la salvezza nelle prescrizioni alimentari, nella circoncisione, nelle abluzioni, ecc. ecc.
Certo anche noi dobbiamo convertirci continuamente su ciò in cui ci sentiamo sicuri e dove mettiamo il nostro vanto, dove cerchiamo la nostra gloria.
Non sono cose malvagie in sé, ma diventano vergognose perché prendono il posto di una vera teologia crucis e noi rischiamo di cercare più il superfluo che l’essenziale.
In questo grosso sbaglio noi cadiamo nella vergogna.
E’ da vergognarsi di mettere più attenzione alla nostra perfezione che all’amore di Dio che si manifesta nella Croce di Cristo.
Questo personalmente e anche comunitariamente: riceviamo volentieri gli elogi, ma facciamo attenzione che se questi non sono perché la gente è consolata dal nostro imitare Gesù, gli elogi sono piuttosto a nostra vergogna.