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A Dio, non a sé, attribuire il bene di cui ci si riconosce capaci. RB 4,42

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Ave Maria

Commento di P.Cesare Falletti - 12/12/2004

Tra breve uscirà alle edizioni Effatà un libretto di fra M. Cesare con un commento della preghiera dell'Ave Maria.

Ve ne presentiamo qui un sunto tratto da una conferenza fatta all'Unitre di Barge.

Ho pensato di proporvi un commento alla preghiera più conosciuta nella Chiesa cattolica d’Occidente dopo il Padre nostro: l’Ave Maria. Penso che è importante conoscere non solo le parole, ma anche la storia e il vero contenuto, la struttura e le implicazioni di quello che non è solamente una preghiera, ma che penso possa dirsi anche un elemento importante della nostra cultura e una vera professione di fede. E’ un testo molto antico, almeno nella sua prima parte e comune salvo alcune sfumature alle Chiese d’Oriente e d’Occidente. La prima parte è dei primi secoli, certamente anteriore al X secolo. I monaci dell’XI e XII secolo, molto devoti alla Madonna, in particolare i cistercensi, ne hanno fatto la preghiera principale al di fuori dell’Ufficio divino. Un Certosino ha “inventato” il rosario, ricevuto e propagandato poi in modo molto diffuso dai domenicani. La seconda parte è stata composta verso la fine del XIV secolo e l’aggiunta alla prima parte è stata ratificata dall’autorità della Chiesa, in modo particolare da S. Pio V, Papa domenicano, che ha affidato alla recita del rosario la vittoria sui musulmani di Lepanto. Questa vittoria, che oggi la storiografia ha molto ridimensionato, ma che è restata nella mentalità popolare cristiana come uno dei grandi momenti della difesa dell'occidente cristiano, ha avuto luogo il 7 Ottobre, giorno in cui ancora oggi si festeggia la Vergine del Rosario. La prima parte dell’Ave Maria è nel contempo una “Lectio divina” con la sua “Ruminatio” , una lode e una contemplazione. Il testo è esclusivamente biblico, salvo la parola “Gesù”, che è un’aggiunta posteriore. Nella Chiesa bizantina si dice “hai partorito il Salvatore delle nostre anime”, il che equivale a “il frutto del tuo seno Gesù”, essendo il significato di Gesù = Salvatore. La seconda parte ha invece piuttosto un tono di supplica, molto influenzata dalla spiritualità tardomedioevale in cui il peccato e la morte erano molto presenti. Oggi abbiamo una preghiera molto equilibrata, con una introduzione biblica, come devono esserlo in genere le preghiere, e una risposta alla Parola dovuta al senso di fragilità dell’uomo e al suo bisogno di affidarsi alla Potenza divina attraverso l’aiuto dell’intercessione di Maria. Fra le innumerevoli preghiere mariane, anche molto antiche, (la più antica pare essere il “Sub tuum” dei primissimi secoli), l’Ave Maria si è imposta proprio per questo grande equilibrio e giustezza liturgica e teologica. Non ci sono sbavature. La liturgia non ha fatto sua questa preghiera in quanto tale, ma necessariamente ne riporta vari pezzi, soprattutto quelli che sono più direttamente biblici. Perché pregare Maria? Bisogna innanzi tutto demolire una tendenza a fare di Maria qualcuno di più dolce e mite di Dio, di più buona, in un certo senso. Questa è una contraddizione. Nessuno ci ama più di Dio e nessuno è più buono verso di noi di lui. Non ci sono mediazioni fra il Padre e i figli, salvo il Figlio che ci ha dato di essere suoi coeredi, di essere veramente figli, grazie alla sua Incarnazione, alla sua morte e alla sua Risurrezione. Maria non può che essere un pallido riflesso della tenerezza di Dio. E’ vero che a causa del nostro peccato abbiamo la tendenza a nasconderci da Dio, come Adamo; ma in tal caso passare da Maria sarebbe inutile, Maria ci spingerebbe a uscire allo scoperto e a guardare Dio in faccia, ad avere fiducia in lui e a riconoscerlo come la sorgente della sua stessa tenerezza. Allora è inutile pregare Maria? Maria è forse solamente una via di facilità o una scorciatoia che evita la collera divina? Non è certo questo. E’ il riflesso della grandezza e dell’estrema esigenza dell’Assoluto divino. L’Ave Maria contiene e ordina tutti questi elementi; ci fa capire perché pregare Maria e come pregarla. Bisogna però prima fare una piccola deviazione per parlare della Comunione dei Santi, che è il luogo della preghiera con i santi, piuttosto che ai santi. Non siamo soli. Preghiamo nella Chiesa e con la Chiesa. La nostra preghiera non è un grido solitario in un deserto, ma una nota essenziale che si inserisce nell’armonia del canto di tutta la Chiesa e di tutta l’umanità. Siamo fatti voce di ogni creatura che loda il Signore. La Chiesa è un corpo, animato e vivificato dallo Spirito santo, e composto da cellule viventi, legate le une alle altre. Fra queste i santi sono coloro che sono più lavorati dallo Spirito e più lavorano per il bene comune, anzi che diventano canali della forza dello Spirito verso il corpo intero. Fra di essi la Vergine, per misterioso disegno di Dio, grazie alla sua Immacolata Concezione, la sua Assunzione, ma anche a causa della profondità della sue virtù teologali e cardinali, ha un posto unico nel corpo, e dunque anche nella preghiera del corpo. Nell’Ave Maria si manifesta la purezza e la trasparenza di Maria, tanto che nulla si ferma ad essa, tutto passa a Dio. Se diciamo Maria, lei dice Gesù. E’ la dinamica della prima parte. Maria -> Gesù e ripetendo sovente questa preghiera entriamo in un ritmo che ci conduce sempre più verso l’intimità con Gesù. Come la preghiera a Gesù orientale. Esaminiamo dunque i vari elementi della preghiera: innanzitutto il saluto: Ave! In greco è χαιρε! Che vuol dire rallegrati. In ebraico è certamente: Shalom! Il saluto di pace. Ora questo si inserisce totalmente in un contesto e una tradizione biblica. Non è un educato “buongiorno” , ma un augurio e un annuncio. Maria faceva parte del popolo che viveva con una forte attesa messianica, in una totale dipendenza dalla benedizione divina. La Pace e la Gioia sono i segni che questa benedizione è data, i segni della prosperità, anche materiale, dell’attenzione che Dio ha verso il suo popolo, che ha sempre sofferto per la mancanza della pace. E’ Dio stesso la Pace e la Gioia, l’atteso, il Messia. Sono i doni dello Spirito. Dicendo: χαιρε l’angelo dice una parola efficace: Dio è presente e realizza la promessa, le profezie. Salutando dunque Maria, noi diciamo che Ciò che speriamo è in lei Ciò che crediamo si trova in lei Ciò che amiamo è la bellezza stessa che rende bella Maria. Salutandola entriamo n un mondo nuovo, il mondo divino. La incontriamo e ci porta a Gesù. Piena di Grazia, κεχαριτομηνη, un verbo difficile da tradurre, fissata nella grazia, che l’ha invasa fin dalla concezione e rimane in modo permanente. Per cui è grazie a questo verbo che si è arrivati alla definizione del dogma dell’Immacolata Concezione. La grazia è Dio stesso che si dà e lei è consenziente al dono. Questa parola dell’angelo rende la nostra preghiera contemplativa, perché entriamo in un mondo non più nostro, ma il mondo dell’azione salvifica di Dio, della sua bellezza, della sua santità. Come dice Maria nel Magnificat: si è chinato sulla sua umile serva. Ma i privilegi di Maria non ci lasciano indifferenti perché sono per noi: Maria è l’imbuto della grazia, che attinge nell’infinito oceano e lo riduce alla nostra taglia. Il Signore è con te: è un augurio che traversa tutta la Bibbia; è un saluto frequente ed è paragonabile allo shalom. La presenza del Signore è una condizione indispensabile per il popolo. Se il Signore è con noi, faremo cose grandi, ma se il Signore si ritira, siamo perduti. Mosè ha messo la presenza del Signore come condizione indispensabile per partire per l’Esodo. Ancora oggi la Chiesa impiega questa formula come saluto-augurio-benedizione del sacerdote sui fedeli. Abbiamo la formula all’ottativo, ma nel testo originale non c’è il verbo, per cui si traduce anche al presente: il che equivale ad un annuncio, a una buona novella, un vangelo. In Maria tutto si compie e l’attesa tocca al suo termine. Il Verbo si è fatto carne e il seno di Maria è come l’umanità intera che riceve il Signore e dà la sua carne. Tu sei benedetta fra le donne e benedetto è il frutto del tuo seno: non è più una parola dell’angelo, ma di Elisabetta,. Anche di Elisabetta si dice che parlò sotto l’influsso dello Spirito santo, quindi è anche questa una parola di Dio. Noi parliamo a Maria con Dio. La grandezza di questa preghiera è il coro unico che facciamo con Dio nel parlare a Maria. Ma questa doppia benedizione è discendente e ascendente, perché il frutto del seno di Maria è Gesù, il Figlio uguale al Padre, dio da Dio. Dio benedice la donna, ma la donna-Chiesa-umanità benedice Dio Partorire nel dolore era una conseguenza del peccato, e ancora nell’Apocalisse la donna grida nelle doglie del parto, perché è la Chiesa che deve annunciare al mondo il Salvatore, attraverso persecuzioni e fatiche. Ma Dio fa della “maledizione” una “benedizione”. Vediamo qui il rapporto fondamentale Eva-Maria, già accennato da S. Paolo. Eva, la donna, ha portato la maledizione e partorito Adamo, l’uomo, destinato al sudore e alla morte. Maria, la nuova donna, ha portato la benedizione e partorito il nuovo Adamo, destinato alla gloria, Gesù, ma in Gesù Redentore, Verbo che si è fatto carne, tutta la natura umana è ormai destinata alla benedizione. Dicendo “benedetto il frutto del tuo seno” benediciamo Dio e restituiamo la benedizione. Gesù: Finendo questa prima parte con il Nome di Gesù, concludiamo il passaggio da Maria a Gesù. Maria ci ha introdotti a lui, e dicendo il suo Nome, secondo la tradizione semitica, noi provochiamo una presenza, una speciale protezione, un unione e comunione con il Salvatore. Santa Maria, Madre di Dio: questa frase, a cui siamo tanto abituati, è a rigor di termini, assurda. Dio non ha una madre, perché è eterno. E non dobbiamo lasciarci scivolare nelle teogonie della mitologia antica. Possiamo dire questa frase (che in greco è: θεώτοκος e in latino Dei Genitrix, cioè colei che ha partorito Dio), grazie alla definizione del Concilio di Efeso. Nestorio infatti diceva che questo titolo era eretico, ma il Concilio ha definito che Gesù Cristo è una sola persona, Dio e Uomo, per cui quello che si dice dell’uomo si può dire della seconda persona della Trinità; se Maria è madre di Cristo, dunque è madre di Dio, ma è più esatto dire: Colei che ha partorito Dio, naturalmente nella sua natura umana. Ad ogni modo dal 431 questo titolo di Maria è stato molto impiegato. Resta il fatto che Dio è il Santo, cioè l’inaccessibile, il purissimo, se possiamo dire: Madre di Dio è perché lui stesso ha voluto farsi Figlio dell’uomo, nostro fratello. Per questo dicendo: Madre di Dio diciamo anche madre nostra. C’è dunque più che una devozione una professione di fede nell’Incarnazione. E ogni preghiera deve cominciare con una professione di fede. Così come “Piena di grazia” ci fa dire che la Grazia si è chinata su di noi, così Madre di Dio è una professione di fede nell’Incarnazione redentrice e nella nostra divinizzazione. Prega per noi peccatori: grazie alla sua divina maternità, Maria ha un ruolo particolare nell’intercessione dei santi per noi. La sua umanità è unita a quella di Cristo suo Figlio, che ha preso la sua carne e il suo sangue; l’intercessione continua del Verbo fatto carne e glorificato davanti al Padre, la trova dunque unita particolarissimamente a lui. L’intercessione di Maria presenta innanzitutto al Padre l’umanità “riuscita”, cioè secondo il disegno originale, senza macchia; è la bellezza che innamora Dio. In seguito è la carità di chi non è ripiegato su di sé dal peccato. E la carità copre una moltitudine di peccati; ruolo materno quanto mai, ma anche di cooperazione stretta col Redentore. Questi ruoli non sono certo esclusivi di Maria, perché è il ruolo di tutti i battezzati, ma in Maria hanno una intensità particolare. Questa preghiera è per noi peccatori. C’è anche qui un ricordo della “preghiera a Gesù” tradizionale. Dicendo peccatori, noi diciamo l’urgenza di questa intercessione. Il peccato è seme di morte, per asfissia progressiva. Come dice il Salmo “l’acqua mi giunge alla gola”. Se rimaniamo nella nostra autosufficienza, che ci illude di sicurezza, possiamo dire come è stato detto nel ’68: “La preghiera è un lusso!”, ma se prendiamo coscienza del nostro peccato, la preghiera è una necessità. Quando la barca affondava gli apostoli non hanno fatto tanti complimenti e hanno svegliato Gesù che, stanchissimo, dormiva. Adesso e nell’ora della nostra morte: la frase viene dalla spiritualità dei secoli XIII - XV in cui era forte il senso della morte. C’erano le ondate di peste nera, che rendevano molto precaria la vita Però noi diciamo: adesso, cioè: subito! Si continua il tema dell’urgenza della preghiera. Se diciamo “prega per me”, può essere una frase fatta, senza spessore. Ma se diciamo prega per me subito, la cosa diventa seria. Ma oltre all’immediatezza c’è anche la durata. Maria ci accompagna sempre, lungo il cammino della vita. La sua presenza materna, discreta non può mancarci. Questo ci ricorda la sua presenza nella vita di Gesù: Ora: sono le nozze di Cana, in cui lei fa scattare l’Ora. E poi c’è la presenza alla croce, nell’ora della morte di Gesù. Il ricordo evangelico è forte. Per cui anche se questa parte è meno biblica della prima, la Scrittura non è assente. In questa ultima frase c’è un forte senso del tempo: lo scorrere del tempo provoca un’angoscia, specie dopo una certa età. Non possiamo fermarlo, non possiamo recuperarlo. La presenza di Maria nel nostro tempo, è la presenza protettiva e distensiva di un’amica, di una persona che sa dare pace e serenità. Invocando colei che è già in cielo, con tutta la sua umanità, noi rendiamo la nostra finitezza una non-finitezza, per cui il nostro cammino sulla terra si apre ad una vita senza confini. Amen.