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Lettera di S.Paolo ai Filippesi XIII

Omelie al Capitolo della comunità per la Quaresima - 30/03/2009

filippesi 1, 28-30

"senza lasciarvi intimidire in nulla dagli avversari. Questo è per loro un presagio di perdizione, per voi invece di salvezza, e ciò da parte di Dio; perché a voi è stata concessa la grazia non solo di credere in Cristo; ma anche di soffrire per lui, sostenendo la stessa lotta che mi avete veduto sostenere e che ora sentite dire che io sostengo."

Nella luce della frase detta “comportatevi in maniera degna del Vangelo” Paolo vede che per la Chiesa di Filippi non tutto è facile. Non parla di difficoltà precise, di persuasione di parte dell'autorità civili o di giudici e neppure di tensioni interne. É certo che il semplice voler vivere integralmente il Vangelo provoca una lotta, prima con se stessi e poi intorno a sé con quanti non comprendono la radicalità del seguire Cristo. Paolo sta parlando della lotta per vivere con fede il Vangelo e chiede ai Filippesi di non lasciarsi intimidire. Questa timidezza può venire da molte parti: da una ostilità aperta e minacciosa, dall'ironia di chi vuole farci sentire “esagerati” o “sorpassati” - cosa frequenti nella nostra società -, ma anche della presa di coscienza che voler vivere il Vangelo costa fatica e richiede molto, anzi tutto.
Gli avversari sono dunque persone fisiche, ma per noi sono piuttosto i pensieri che partono all'attacco appena il cuore decide di “partire con risoluzione verso Gerusalemme” per andare a morire con Gesù. É una timidezza che troviamo anche negli apostoli, malgrado la coraggiosa esortazione di Tommaso e l'esempio limpido e coraggioso di Gesù.
Questa lotta però è positiva perché testimonia e realizza già la vittoria finale di Dio, che separa ciò che va in perdizione - le potenze umane avverse al Vangelo - e ciò che ottiene la salvezza. La lotta che i filippesi devono sostenere è per la salvezza che ci porta il Vangelo. Aderire al Vangelo comporta una lotta che è vittoriosa perché in ogni caso Dio è vittorioso. Questo è ciò che vivremo in questi quindici giorni con la passione di Cristo. Lo sguardo su Gesù che dobbiamo avere in questi giorni è uno sguardo sul Re della gloria, non su una povera vittima schiacciata dai cattivi, perché da Lui dobbiamo ricevere la forza per vivere anche noi nella lotta quotidiana per il Vangelo. Paolo afferma che questa lotta che unisce i suoi amici alla sua stessa lotta, vissuta al tempo del suo passaggio a Filippi e ora nelle catene romane, è un dono di Dio: “perché a voi è stata concessa la grazia non solo di credere in Cristo, ma anche di soffrire per Lui”. Il valore della sofferenza è per una purificazione, direi autenticazione della fede. La fede è sempre rischio, cammino il cui sostegno è solo la mano di Dio; senza la prova e la lotta rimane una pura teoria astratta.
La prova dà corpo alla fede, l'incarna. Vivendo insieme a Paolo le stesse prove di colui che rischia la vita nell'annuncio del Vangelo, i filippesi sono veri cittadini, degni del Vangelo: costruiscono la città, la polis, non quella civile ormai schiacciata dall'impero più assoluto che aveva fatto svanire il senso “politico” greco e romano, ma la città degli eletti di Dio la cui legge è la carità e il potere l'umiltà. E questo sarà il tema del capitolo secondo.