Logo Dominustecum

A Dio, non a sé, attribuire il bene di cui ci si riconosce capaci. RB 4,42

fotogallery
Monastero
Cistercense
Dominus Tecum

Lettera di S.Paolo ai Filippesi XVII

Omelie al Capitolo della comunità per la Quaresima - 14/04/2009

filippesi 2, 5

"Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù,"

Giovedì Santo: capitolo sulla carità fraterna

Voglio rimanere nel tema dei filippesi anche per questo capitolo speciale, unico nell'anno, sulla carità fraterna. E parlerò solo della frase: “abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù”.
Ora in Gesù tutto è amore, quell'amore che è la vita della Trinità e da cui è stato generato, quell'amore con cui in eterno risponde al Padre e vive l'amore generato dall'amore, quell'amore per cui misteriosamente, per un disegno insondabile, si è fatto uomo come noi, in mezzo a noi, e per noi è morto in croce ed è risorto.
Avere gli stessi sentimenti di Cristo Gesù vuol quindi dire entrare in un mondo nuovo, convertirsi per avere un modo di “sentire” che non è più quello che ci sarebbe naturale, ma che è quello divino, di cui l'epifania visibile e adatta ai nostri occhi è tutta la vita di Gesù.
Per questo il comandamento è di amare “come” Gesù ci ha amato, che non è un'imitazione dei gesti di Gesù, anche se questa sera quasi sacramentalmente viviamo la lavanda dei piedi per manifestare il nostro voler seguire il Maestro in tutto, ma è qualcosa che ingloba tutto il nostro essere e il nostro fare in un unico “sentire” che è quello divino: non fatto di cose che s'aggiungono, ma infinitamente semplice in un solo movimento che è quello di “darsi”. Dio infatti non dà, anche se da Lui riceviamo molte cose, ma “si dà”, e in questo darsi ci colma anche dei beni necessari per vivere e per seguire Cristo sulla Via della Vita.
Dandosi il Signore e Maestro vuole renderci poveri perché non ci attacchiamo a ciò che anche se è bello e buono, rischia di farci fermare nella corsa verso la comunione con Lui. L'unica cosa che ci interessa è avere Lui e essere con Lui, per fare piacere solo a Lui. Perché solo Lui sa e gode del vero bene dei nostri fratelli. Chi di noi avrebbe pensato che il miglior modo per amare i fratelli era morire in croce, umiliato, disprezzato apparentemente in uno scacco totale?
Le sette opere di misericordia corporali e le sette di misericordia spirituali hanno ancora una efficacia che ci rassicura: aiutano davvero.
Morire in croce, cioè vivere nella perdita totale dell'efficacia, soprattutto per noi monaci, attraverso i voti e tutto ciò che ci richiede la Regola, è avere i sentimenti di Cristo Gesù.
Paolo non dirà in seguito: è passato facendo del bene, costruendo dei bei monasteri, cantando delle splendide liturgie, accogliendo tutti i poveri, guarendo tutte le malattie. Tutto questo ha fatto Gesù: ma Paolo arrivato a questo punto capitale parla dell'obbedienza fino alla morte e alla morte di croce. Parla del non aver tenuto conto dei propri diritti e grandezza, ma delle umiliazioni assumendo la condizione di servo, e in questi giorni la parola “servo” ci riporta ai cantici d'Isaia in cui il servo si dona e dalle sue piaghe siamo stati guariti.
Darsi nell'obbedienza fino alla croce è un pozzo smisuratamente profondo.
Non è l'obbedienza del buon ordine militare.
Non è l'obbedienza di chi teme rappresaglie.
Non è l'obbedienza del quieto vivere.
Non è l'obbedienza di chi teme di prendere una iniziativa.
Non è l'obbedienza di chi vuole avere la coscienza a posto.
Non è l'obbedienza di chi è rigidamente monaco e non concepisce la non obbedienza.
É l'obbedienza di chi conosce la volontà del Padre e la compie senza che neanche questi la esponga. É quel servo che “conoscendo la volontà del padrone, anche se questi è assente o non dice nulla, mette in pratica liberamente quello che il Maestro vuole, e non dice in cuor suo: “il maestro tarda a venire”, o “non dice nulla” e per questo approfitta per fare la volontà propria. Gesù, nel Vangelo, non riceve mai l'ordine di andare avanti nella sua missione verso la croce, liberamente e con amore avanza in ciò che sa essere il desiderio del Padre.
Non è stato schiacciato sotto un destino di volontà ferrea, ma avanzava per amore della volontà del Padre e della salvezza degli uomini. Questi sono i sentimenti che dobbiamo avere davanti al Signore, ma anche gli uni verso gli altri.